Come da tradizione, dal 4 al 6 ottobre, a Verona nel prestigioso Palazzo della Gran Guardia, si è svolto il 21° Congresso Internazionale di Terapia implantare promosso della Biomax Spa di Vicenza, intitolato “L’integrazione tra il biotipo ed il sociotipo odontoiatrico: anamnesi, procedure ed indicatori di successo del paziente implantare”.
Particolarità di quest’anno è stato introdurre il punto di vista del paziente: la percezione soggettiva della terapia, le fasi del trattamento, l’esperienza dei protocolli utilizzati, erano richiamati nel titolo di ogni sessione “Risultato clinico e percezione di successo del paziente implantare”. Tema molto moderno, oggetto di saggistica anche recente e al centro di molti corsi sulla gestione dello studio, che ha richiamato, anche quest’anno nelle tre giornate, circa 1300 iscritti.
Ai relatori era stato chiesto di evidenziare non solo le loro migliori e attuali soluzioni cliniche, ma i risultati di quel vissuto con il paziente, portando testimonianze video. Ben curata l’organizzazione che, mixata all’eccellente programma scientifico e culturale, si può dire siano gli ingredienti di un successo che perdura nel tempo, nonostante in 21 anni le cose si siano completamente trasformate. Il segreto sta forse nello star dietro a tali trasformazioni?
Pensiamo di sì e ne è una riprova il programma di quest’anno, in cui , dinanzi all’innovazione delle tecniche implantari, supportate dalla tecnologia digitale, sì è voluto sottolineare che la clinica d’eccellenza non è sufficiente: chiave del successo sono la percezione e la soddisfazione reale del paziente, per creare fidelizzazione, reputazione dello studio e del chirurgo, partendo dalla prima visita e da una diagnosi, assai agevolata, oggi, dalle tecnologie digitali.
Una delle relazioni a titolo esemplificativo da citare è del tedesco Daniel Edelhof: “Opzioni innovative di pre-trattamento implantare per il caso estetico complesso: tecniche e risultati” che ha affascinato la platea con la sua capacità oratoria (cd. public speaking), anche per l’intreccio di sofisticate tecniche digitali: scanner per il viso disponibile anche su smartphone, impronte digitali, stampanti 3D, “Drive test”, video da fornire al tecnico per la fonetica e l’immagine. Tutti percorsi di minima invasività, per rendere predicibile il risultato al paziente, grazie anche ad un particolare “test drive” realizzato con un materiale polimerizzato e ripetibile.
Pochi passaggi, pochi rischi ed un obiettivo: soddisfare il “goal” del paziente. Se poi il problema per raggiungere un risultato finale è la spesa, allora meglio calibrarlo con lui nella scelta dei materiali e nell’eventuale suddivisione del trattamento in step successivi, con nuove risorse economiche per affrontare il trattamento conclusivo.
Tanti relatori (per citarne solo alcuni, Paniz e Mascellani) sottolineano la centralità della diagnosi e della comunicazione del piano di trattamento, fase in cui è indispensabile ascoltare il paziente e coglierne le aspettative. Alcuni casi in cui per un clinico il risultato estetico non è soddisfacente, ma il cliente ringrazierà per avere potuto ottenere negli anni, una funzione adeguata. Tra i relatori anche degli extraclinici, quali ad esempio l'esperto di marketing Roberto Ferrari, per parlare da altri punti di vista del “goal” del paziente, che è clinico, scientifico, ma anche emozionale.
In contemporanea ottima la partecipazione alla sessione intitolata “Il processo digitale globale: rivisitazione della strategia” supportata dalla Biomax che ha voluto durante il congresso, presentare anche negli spazi espositivi il percorso nuovo dell’azienda intitolato “Digital Hub”. Il primo relatore, Luigi Rubino, ha ricordato che la Cone Beam nacque proprio a Verona nel 1994 e nel suo percorso storico ha precisato che occorre rivisitare la strategia perché le cose di ieri oggi non sono più valide e le metodiche semplificate.
Attenzione però: nuovi metodi, materiali e attrezzatture devono sempre essere ben conosciuti per essere utilizzati. Ben vengano allora eventi, quale quello della Biomax, che avvicinano l’odontoiatra a nuovi percorsi attraverso relatori, esperti dei materiali e colleghi, con la possibilità, nei momenti sociali, di scambiarsi opinioni, esperienze e commenti. Per tutto ciò un congresso come questo ha mantenuto nel tempo il suo valore.
Concludendo mi piace citare Michel Balint (dal libro “Medico, paziente e malattia” del 1961) ed un suo interrogativo cui oggi più che mai l’odontoiatra deve saper rispondere: «Perché succede così spesso che, nonostante i più sinceri sforzi da entrambe le parti, il rapporto tra medico e paziente è insoddisfacente e persino causa d’infelicità?».
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