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Un nuovo ed innovativo tipo di impianto sottoperiosteo: il Premaxillary Device

Fig. 5 - Foto durante l’inserimento del device.
Adriano Piattelli et al.

Adriano Piattelli et al.

mer. 28 giugno 2023

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I pazienti edentuli da molti anni presentano un’atrofia dei mascellari variabile da paziente a paziente. Questa atrofia è dovuta a un riassorbimento dell’osso alveolare che si modifica con una predicibilità che segue un andamento bidimenzionale, verticale e orizzontale, nella mandibola e su tre dimensioni nel mascellare, verticale, orizzontale e centripeto1.

Il risultato generale porta, nell’edentulo bimascellare, a una modifica del profilo, individuabile con una normale cefalometria, verso una terza classe scheletrica di Angle. Il dato che riguarda il mascellare è particolare perché il fenomeno atrofico inizia con riassorbimento orizzontale che porta la cresta alveolare ad assumere in un primo momento una forma a lama (III-IV classe di Cawood e Howell per mascellare anteriore). Si assiste nello stesso tempo a un modico spostamento posteriore del punto cefalometrico A, in maniera diversa da paziente a paziente. Successivamente il riassorbimento diventa verticale (V classe di Cawood ed Howell). L’ulteriore spostamento palatale del punto A si traduce in una nuova morfologia da modifica in senso centripeto. Il rispetto di questa situazione anatomica acquisita è il must cui fare riferimento qualora si volesse procedere a una riabilitazione protesica fissa su impianti. Non sempre è possibile procedere a una GBR mirata a ricostruire la parte ossea persa, sia per motivazioni riferibili allo stato clinico del paziente sia per una sempre minore predicibilità dell’intervento correlata alla complessità del riassorbimento. A ciò si aggiunge la compliance del paziente, oggi sempre più esigente.

Gli interventi rigenerativi, relativi a questa complessità, sono associabili a una elevata morbilità, a un allungamento dei tempi e a un non sempre soddisfacente risultato. La necessità di riabilitare in tempi sempre più brevi il paziente ha determinato un by pass delle procedure rigenerative a favore di metodiche chirurgiche dirette che permettono una protesizzazione veloce. Nel mascellare superiore, in relazione ai diversi livelli di atrofia, si sono messe in campo tecniche tipo impianti pterigoidei (per le atrofie posteriori), impianti zigomatici e nasali (per le atrofie anteriori e laterali), e infine gli impianti sottoperiostei o iuxtagengivali per le atrofie totali. Se l’atrofia mascellare è moderata, nel senso che mantiene ancora una parte di osso alveolare nella zona della premaxilla, si possono attuare procedure con impianti angolati per evitare di poter danneggiare alcune strutture nobili come naso e seni mascellari. Gli impianti nasali e pterigoidei per essere attuati richiedono una chirurgia complessa con diversi gradi di possibili complicanze. Gli impianti zigomatici, oltre alla complessità dell’intervento, presentano un notevole impatto chirurgico e nello stesso tempo richiedono una particolare vigilanza del paziente spesso attuabile solo con sedute operatorie in narcosi e quindi in sala operatoria. Meno aggressivi sull’osso ma di grande impatto chirurgico sono gli impianti sottoperiostei customizzati con tecniche digitali che per essere posizionati richiedono ampie incisioni a tutto spessore della mucosa, importante scheletrizzazione del mascellare ovvero fissazione con viti di osteosintesi2-11.

I principi generali cui rispondono questi impianti sono relativi a una protesizzazione rapida senza osteointegrazione. I requisiti di stabilità e ritenzione del manufatto protesico vengono garantiti dalla collocazione sottoperiostea la quale, oltre alle viti di osteosintesi, garantisce l’inamovibilità della struttura che viene trattenuta dalla mucosa e con una estensione massima del suo disegno. Alla luce di queste considerazioni si osserva che i limiti delle soluzioni chirurgico-protesiche descritte sono i seguenti: o abbiamo osso a sufficienza da potere mettere impianti osteointegrati oppure, se non c’è osso, bisogna ricorrere a chirurgie aggressive, perfino nei sottoperiostei. Oggi si tende a ridurre l’estensione dell’impianto iuxtagengivale e a fissarlo con viti di osteosintesi; comunque, la customizzazione tende sempre a richiedere estensioni importanti, e quindi a chirurgie ad alto impatto per il paziente. Il Premaxillary Device (in seguito denominato PD) è un dispositivo che nasce per compensare molti degli aspetti negativi descritti in precedenza, in merito alle soluzioni chirurgico protesiche da attuare in caso di grave atrofia del mascellare.

Una prima osservazione da fare, proprio sull’anatomia del mascellare gravemente compromesso, è che non sempre si possono usare impianti zigomatici o pterigoidei; pertanto, l’alternativa potrebbe essere quella di creare un dispositivo sottoperiosteo. Il PD rientra nei dispositivi a collocazione sottoperiostea. Sappiamo, ai fini protesici, che oggi la riabilitazione dell’assetto dentario si ritiene sufficiente almeno fino ai premolari. Motivo per cui nelle riabilitazioni con impianti angolati e in numero ridotto tipo all-on-four si tende a protesizzare l’arcata dentaria in maniera non completa, ossia fino ai premolari oppure ai primi molari. Questa base di partenza della pianificazione chirurgica, che deve sempre essere su base protesica, è in ordine con la filosofia del PD perché nel mascellare gravemente compromesso ci garantisce l’estensione della dentatura fino a quanto detto. Il dispositivo però non è customizzato e questa è la novità; si dispone cioè di un dispositivo standardizzato, che si può produrre in misure variabili, sempre standard, tipo piccolo-medio-grande che ha una forma ad arco e che si estende in un settore del mascellare che va da 1.3/1.2 e 2.2/2.3, che in anatomia si chiama Premaxilla.

Il mascellare atrofico, con arretramento del punto cefalometrico A, vede spostato il riferimento dell’osso basale residuo, in cui si può eseguire fissazione di viti, al limite nucale della spina nasale anteriore; in pratica il limite anatomico nella cavità nasale non sarà più il setto cartilagineo ma la parte anteriore del vomere.

Materiali e metodi
Il dispositivo presenta quattro alloggiamenti per impianti di piccole dimensioni (3,3 mm) e di lunghezza variabile tra 8 e 12 mm. Se consideriamo lo spessore del dispositivo diciamo che gli impianti dovrebbero essere collocati a una profondità non superiore ai 4 mm. I punti precisi di fissazione sarebbero, con l’ultimo disegno del PD, uno anteriore nella parte più nucale della spina nasale anteriore e uno più nucale nella parte iniziale della zona in cui il vomere si incastona con il versante nasale della sutura palatina mediana. Gli altri due sono rispettivamente nel primo e secondo quadrante in corrispondenza delle suture della premaxilla con le ossa mascellari. La testa degli impianti è progettata per restare una frazione di millimetro sotto la superfice del dispositivo.

Lo spessore della struttura del PD presenta 44 microfori passanti che permettono allo stesso di non fare effetto barriera tra l’osso basale e il periostio sovrastante. I dispositivi si distinguono in “a carico immediato” con i monconi monolitici senza connessioni da protesizzare subito; ed “a carico differito” cioè senza monconi ma con alloggiamenti filettati per permette di avvitare in un secondo momento quattro monconi per la protesizzazione (Fig. 1). Il procedimento chirurgico prevede una minima incisione da canino a canino, scheletrizzazione con distacco della parte terminale del nervo nasopalatino, come tutti i sottoperiostei, la modellazione dell’osso residuo con piezosurgery o fresoni per accogliere la forma del dispositivo ad appoggio completo e fissazione con impianti ridotti come detto sopra. La sutura sarà a completa copertura del PD a seconda se a carico immediato o differito prevede una seconda apertura solo sulle connessioni dei monconi che hanno delle viti tappo inserite (Figg. 2-15).

Discussione
Gli impianti sottoperiostei, inseriti sotto il periostio, direttamente sul tessuto osseo, sono stati proposti da Dahl in Svezia nei primi anni 40, sono stati in uso in uso negli anni 50 e 60 del secolo scorso2, 4, 8, 11-22. Successivamente sono andati in disuso, per le problematiche legate, soprattutto, a una notevole e non accettabile percentuale di fallimenti. In quegli anni, la tecnica per fabbricare gli impianti sottoperiostei era molto complessa, era molto difficile ottenere un adattamento preciso dell’impianto al letto osseo, e la tecnica di posizionamento era molto indaginosa e richiedeva una notevole quantità di tempo2, 4. La struttura implantare era di grandi dimensioni e necessitava dell’esecuzione e realizzazione di lembi molto ampi per essere posizionata5. La necessità di un doppio intervento chirurgico, il primo per prendere l’impronta della struttura ossea e il secondo per posizionare l’impianto, certamente avevano un effetto negativo sui processi di guarigione5, 11. I materiali, poi, soprattutto cromo-cobalto e vitallium non erano dei più performanti4, 5, 11. Inoltre, le tecniche radiologiche disponibili in quei tempi non permettevano un’immagine precisa dell’anatomia della struttura ossea del paziente. Stvrecky e coll.19, nel 1993, in un lavoro retrospettivo sui vecchi impianti sottoperiostei per un periodo di 15 anni riportavano una sopravvivenza a 5-10 anni del 58.3%. Dalla fine degli anni 60, gli impianti endossei proposti inizialmente da PI Branemark hanno completamente soppiantato e sostituito gli impianti sottoperiostei4. Negli ultimi anni, grazie al notevole sviluppo sia delle nuove tecnologie digitali, CBCT, scanners intraorali, che di materiali, soprattutto metalli molto più performanti, e di tecniche di manifattura e chirurgiche sempre più sofisticate, gli impianti sottoperiostei sono tornati un po’ in auge e di moda4, 5, 11. La stampa in 3D dei metalli ha permesso un’accuratezza sempre più precisa, rispecchiando il disegno originale, durante il processo di realizzazione del manufatto implantare5, 11.

La osteointegrazione del titanio è un altro fattore estremamente positivo, perché permette la realizzazione di un manufatto protesico di minori dimensioni5. Infatti, ci sono delle condizioni cliniche di grave atrofia della ossa mascellari, soprattutto a livello del mascellare superiore, che possono essere trattati con grande difficoltà. Tecniche proposte sono state:

  • innesti ossei, tipo inlay/onlay ed impianti endossei;
  • rigenerazione ossea guidata (GBR);
  • impianti angolati;
  • impianti zigomatici;
  • impianti pterigo-mascellari;
  • distrazione osteogenetica;
  • splitting della cresta alveolare;
  • rialzo di seno mascellare3, 4, 6, 11.

Tutte queste tecniche sono, però, molto complesse, devono essere affidate a chirurghi orali e implantologi esperti, richiedono molto tempo per la loro realizzazione. Possono essere gravate da complicanze anche importanti, comportano un costo biologico e aggiuntivo per il paziente4.

Oggi, l’utilizzo di questi impianti può offrire tutta una serie di grandi vantaggi, dalla riduzione dei tempi di trattamento, al poter evitare procedimenti chirurgici particolarmente complessi, alla riduzione dell’onere finanziario per il paziente2. Il notevole sviluppo delle conoscenze con l’ausilio di nuovi hardware e software sempre più sofisticati hanno permesso la realizzazione estremamente precisa di modelli digitali 3D e della realizzazione di manufatti implantari estremamente precisi ed efficaci2. Recentemente, in letteratura è possibile trovare dei lavori su questa nuova generazione di impianti sottoperiostei in cui si mette in evidenza che questi impianti non sarebbero associati con segni di riassorbimento osseo, mobilità, infezione oppure frattura della protesi2. Soddisfacenti percentuali di sopravvivenza sono state riportate (circa 95%). Nemtoi e coll.4 riportano uno studio su 16 pazienti, seguiti per 6 mesi, con solo un impianto perso, con intervento chirurgico-protesico in un tempo medio di circa 90 minuti, senza complicazioni rilevanti. Sono stati riferiti, nell’immediato periodo postoperatorio, dolore, tumefazione ed edema, in alcuni casi sanguinamento, in altri casi un’esposizione di parte dell’impianto senza, però, perdita della funzionalità dello stesso. Ottima è, poi, risultata l’apposizione del dispositivo a livello del tessuto osseo, con un fit estremamente preciso. Dimitroulis e coll.5 riportano uno studio su 21 pazienti, seguiti per un periodo di tempo di 22 mesi. Complicazioni osservate sono state:

  • 5 esposizioni;
  • 1 mobilità dell’impianto;
  • 1 impianto rimosso, ma per cause diverse (salute mentale).

I pazienti hanno riferito dei risultati positivi per quanto riguarda il loro confort, la capacità della masticazione, e la stabilità della restaurazione protesica fissa. Mangano e coll.11 riferiscono su 10 pazienti con una percentuale di sopravvivenza dell’impianto sottoperiosteo del 100% a un anno, e una percentuale di complicanze precoci del 10% e di complicanze tardive del 20%. Van der Borre e coll.10 hanno condotto uno studio su 15 pazienti, con un follow-up di un anno, senza nessuna complicanza e perdita di impianti.

In un caso si è avuta frattura della protesi provvisoria. D’altra parte, bisogna tener conto che si tratta di lavori con un numero esiguo di pazienti (circa 10-15), con un brevissimo o breve follow-up, da 6 mesi a pochissimi anni. Sono presenti anche singoli case reports. L’uso, poi, di impianti sottoperiostei customizzati rende possibile una terapia rapida ed estremamente poco invasiva2. Uno degli aspetti più importanti in questa tipologia di impianti è che devono avere una stabilità meccanica sufficiente, in grado di permettere una buona resistenza ai carichi masticatori2.

Per favorire la neoformazione di tessuto osseo, il device oggetto di questo articolo è stato fornito di fori, che servono a favorire la stabilità secondaria dell’impianto, mentre quella primaria viene a essere garantita dalle viti di fissaggio5. Un altro possibile vantaggio degli impianti sottoperiostei potrebbe essere il fatto che permetterebbero una funzione estetica, masticatoria e fonetica immediata3.

Ringraziamenti
Una menzione particolare va al Sig.re Aldo Corbo, imprenditore sanitario agrigentino meritevole di un riconoscimento per la sua intuizione, il Premaxillary Device, oggetto della presente ricerca.

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L'Articolo è stato pubblicato su Implant Tribune Italian Edition 2/2023.

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