La riuscita dello sciopero sta nelle cifre. Anche a voler fare la tara (perché sui numeri in genere non ci si trova mai d’accordo) lo sciopero generale dei medici svoltosi il 16 dicembre a Roma ha fatto registrare un 75 per cento di adesioni (dato riferito da ANAAO e FIMMG e ripreso dal Corriere della Sera) tra medici e veterinari pubblici.
Impressiona il numero degli interventi saltati, circa 40 mila come riferisce il sindacato degli Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani (AAROI) per bocca del presidente Alessandro Vergallo, di cui vengono riportate le dichiarazioni rese durante un sit-in di protesta al San Camillo di Roma. Vergallo riferisce infatti addirittura un 80 per cento di adesioni allo sciopero tra i professionisti che non potevano essere precettati.
Ancora: un milione e 300 mila visite di medici di famiglia e 350 mila visite saltate, per i pediatri 150 mila contatti telefonici. Il segretario nazionale della FIMMG (Sindacato dei Medici di Famiglia) Giacomo Milillo e Giampietro Chiamenti, presidente FIMP (Federazione Italiana Medici Pediatri) hanno dichiarato alla stampa «di aver sensibilizzato gli assistiti che lo sciopero non è “contro” di loro, ma “con” loro, “per non svuotare il Servizio Sanitario Nazionale e perché i pazienti siano curati in modo diverso a seconda della regione in cui vivono».
Non richieste precise a monte dell’agitazione ma «assenza di un approccio organico e un SSN alla deriva» come denunciano i due sindacalisti che chiedono «interventi strutturali sulla governance sotto l’aspetto dei finanziamenti e in termini organizzativi e che si risolva il conflitto tra Governo e Regioni».
Il rischio concreto secondo Milillo è «che i cittadini domani si sveglino e scoprano che il SSN non c’è più, e debbano pensare alla salute quasi esclusivamente attraverso le proprie risorse o le assicurazioni». Come negli Usa, dove però stanno facendo marcia indietro.
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