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Rialzo di seno per via crestale con una pasta ossea di nuova generazione

Fig. 1 - Aspetto clinico e radiografico dell’arcata superiore destra del paziente alla prima visita. La zona corrispondente agli elementi 1.6 e 1.7 presente una grave atrofia ossea verticale.
Giacomo Tarquini

Giacomo Tarquini

ven. 30 marzo 2018

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L’atrofia del mascellare posteriore come conseguenza della perdita degli elementi dentali è una condizione piuttosto frequente nella pratica clinica. La sua gestione, in previsione della riabilitazione del paziente attraverso una protesi supportata da impianti, richiede un’oculata valutazione dell’anatomia sinusale, nonché una scelta razionale della tecnica chirurgica riabilitativa.

L’elaborazione di un corretto piano di trattamento, infatti, contribuisce alla riduzione del rischio intra- e post-operatorio, alla diminuzione della morbilità postoperatoria e, nel lungo termine, al successo duraturo della riabilitazione. Una corretta anamnesi, una pianificazione adeguata dell’intervento e una scelta adeguata della tipologia di biomateriali e impianti sono quindi requisiti imprescindibili. Tra gli approcci chirurgici più frequenti nella riabilitazione del mascellare posteriore atrofico, il rialzo di seno1, è stato oggetto di numerosi studi ed è oggi considerata una procedura sicura, efficace e predicibile2-4. Successivamente all’approccio per via laterale, proposto da Tatum5, 6 e Boyne e James7, alcuni autori, tra cui Summers8 ed altri4, 9-11, hanno proposto l’approccio per via crestale al fine di ridurre l’invasività ed il rischio intra- e post-operatorio dell’intervento, nonché il discomfort per il paziente. A questa alternativa a ridotta invasività si associa, o si affianca, l’utilizzo di impianti corti (Ø 8-10 mm), la cui efficacia, sicurezza e riproducibilità nel trattamento del mascellare posteriore atrofico – sempre nei limiti di una corretta pianificazione dell’intervento12, appaiono confermate dalle più recenti revisioni di letteratura e meta-analisi13, 14. Al rialzo di seno per via crestale possono essere associate tecniche mirate a sollevare in modo atraumatico la membrana sinusale prima dell’innesto del sostituto osseo prescelto: queste tecniche, basate sul clivaggio e successivo scollamento della membrana di Schneider mediante iniezione di soluzione salina sterile veicolata da un catetere in silicone, utilizzano il principio dell’isotropia della distribuzione della pressione in un fluido (legge di Pascal) nonché il fatto che la stessa possa essere facilmente modulata.

Inoltre, questo tipo di approccio chirurgico contribuisce alla riduzione della probabilità della lacerazione della membrana che potrebbe conseguire all’inserimento immediato di un biomateriale in forma solida per via crestale15. L’innesto di biomateriali in forma semi-fluida o comunque pastosa può ulteriormente favorire il riempimento omogeneo dello spazio al di sotto della membrana sinusale, nonché contribuire a ridurre il rischio di perforazione della stessa16. Recentemente è stata introdotta in commercio una pasta ossea ottenuta miscelando granuli corticali e spongiosi e matrice ossea demineralizzata di origine equina con un hydrogel polimerico riassorbibile che agisce da carrier17. Il gel contiene inoltre una modesta quantità di vitamina C che agisce da modulatore della viscosità. L’impiego della componente granulare dell’innesto per l’esecuzione di interventi di rialzo di seno mascellare è già stata oggetto di studi che ne hanno dimostrato sicurezza ed efficacia18-22. La nuova pasta ossea ha dimostrato, in vitro, di stimolare l’espressione di noti fattori di crescita modulanti la rigenerazione ossea e, in vivo in modello animale, di modulare la riorganizzazione del tessuto durante la rigenerazione17. Mentre il suo utilizzo in ambito clinico è documentato nel riempimento di alveoli post estrattivi al fine di ottenere un’efficace ridge preservation23, il suo impiego negli interventi di rialzo di seno mascellare non è ancora, a conoscenza dell’autore, stato riportato all’attenzione della comunità clinica. Questo caso ne descrive l’impiego in un intervento di rialzo di seno per via crestale ove, contestualmente all’innesto osseo, si è proceduto al posizionamento di impianti corti (< 8 mm).

Materiali e metodi

Caso clinico
Il paziente (A/M, 60 anni) presentava una marcata atrofia verticale a carico dell’arcata superiore destra in posizione 1.6 e 1.7 (Fig. 1). Un’attenta valutazione del caso portava ad escludere l’opportunità di eseguire un intervento di rigenerazione ossea guidata (GBR) in senso verticale; il paziente infatti presentava un fornice quasi totalmente assente, i piani anatomici completamente sovvertiti per pregressi interventi chirurgici nel primo quadrante, una limitata apertura orale e, in aggiunta, una scarsa compliance. Al paziente è stato quindi proposto un piano di riabilitazione impianto-protesica basato sull’inserimento di due impianti in associazione ad una tecnica idropneumatica di rialzo del seno mascellare per via crestale su siti multipli, eseguito attraverso l’innesto della pasta ossea precedentemente descritta.

Procedura chirurgica
Il paziente è stato sottoposto ad igiene orale completa una settimana prima dell’intervento. Un’ora prima dell’intervento è iniziata la profilassi antibiotica (amoxicillina/acido clavulanico, Augmentin, Glaxo-SmithKline, Verona, Italia, 2 g 1 ora prima della chirurgia e poi 1 g ogni 12 ore per 6 giorni). Al paziente sono stati inoltre fatti eseguire degli sciacqui con clorexidina allo 0,2% (Corsodyl, Glaxo-SmithKline) da proseguire per due settimane dopo l’intervento in ragione di 1 sciacquo ogni 8 ore. Per la terapia antalgica è stato prescritto del ketoprofene granulare 80 mg (Oki, Dompé, L’Aquila, Italia) da assumersi 1 ora prima della seduta operatoria e da proseguire secondo necessità, in quantità non superiore a una bustina ogni otto ore per sette giorni.

L’area di intervento è stata anestetizzata utilizzando articaina cloridrato 40 mg con adrenalina 1:100000. Si è proceduto quindi a sollevare un lembo trapezoidale a tutto spessore mediante un’incisione crestale anticipata palatalmente. Dopo avere posizionato una dima radiologica, appositamente fabbricata, si è proceduto a marcare i siti implantari sulla corticale ossea in corrispondenza dei reperi metallici, e a preparare i tunnel implantari per mezzo del sistema “Crestal Approach Sinus Kit” (BetaPharm, Via Brigata Berto 10 - 16030 Cogorno - Italia). Da notare che l’altezza ossea residua (Residual Bone Height o RBH) inferiormente al seno mascellare variava tra i 3,66 mm e i 2,84 mm.

Il clivaggio e sollevamento della membrana sinusale sono stati eseguiti utilizzando l’inserto atraumatico dedicato “Hydro Membrane Lift” (Fig. 2). L’innesto della pasta ossea (ACT-MLD010, Activabone Mouldable Paste, Bioteck S.p.A., Vicenza, Italia) è stato eseguito estrudendola dalla siringa direttamente nei tunnel implantari, mediante apporti consecutivi di piccola entità; l’espansione e la compattazione del biomateriale all’interno del sito di innesto sono state ottenute utilizzando un inserto denominato Rotary Plugger, sempre incluso nel “Crestal Approach Sinus Kit” (BetaPharm, Via Brigata Berto 10 - 16030 Cogorno - Italia). Sono stati quindi posizionati due impianti di dimensione 4,5 x 7 mm (Shinhung Luna, BetaPharm, Via Brigata Berto 10 - 16030 Cogorno - Italia), e i lembi sono stati suturati utilizzando una sutura non riassorbibile in poliestere 4-0 (Ethibond Excel, Ethicon Italia, Via del Mare, 46, 00040 Pomezia, Italia) (Fig. 3). Pur senza sottopreparazione e nonostante il ridotto spessore della cresta residua, è stato registrato un torque di inserimento soddisfacente per entrambi gli impianti (45 e 55 Ncm rispettivamente per l’impianto mesiale e distale). La radiografia endorale di controllo acquisita al termine della chirurgia mostrava entrambi gli impianti circondati dal materiale di innesto anche in posizione apicale.

La sutura è stata rimossa 10 giorni dopo. A distanza di sei mesi, gli impianti sono stati scoperti e si è proceduto alla gestione dei tessuti molli perimplantari al fine di ottenere una banda di gengiva aderente adeguata sia in ampiezza che in spessore. A questo fine, oltre a posizionare le viti di guarigione, è stato pianificato un lembo a scivolamento apicale (Fig. 4), sotto il quale, per aumentare ulteriormente lo spessore del tessuto cheratinizzato, è stata innestata una matrice collagenica tridimensionale (BCG-XC50, Xenomatrix, Bioteck S.p.A., Vicenza, Italia), già impiegata con successo per il trattamento delle recessioni gengivali24. Il lembo è stato quindi suturato con punti staccati e si è acquisita una ulteriore radiografia endorale di controllo. Per la successiva riabilitazione protesica il paziente è stato rinviato al collega che lo aveva riferito. Al controllo a 6 mesi la protesi era funzionale e gli impianti osteointegrati, senza segno di riassorbimento osseo perimplantare. Il paziente si dichiarava soddisfatto del risultato dell’intervento.

Discussione e conclusioni
Il caso presentato illustra come la riabilitazione dei mascellari posteriori atrofici richieda un’attenta pianificazione e scelte razionali in merito alla tecnica chirurgica da adottare, alle dimensioni e macromorfologia degli impianti da utilizzare e, nel caso di concomitanti interventi di rigenerazione ossea, ai materiali da innesto da impiegare. Nel caso illustrato, nonostante lo spessore (RBH) estremamente ridotto della cresta ossea residua, è stato comunque possibile posizionare due impianti osseointegrati con sufficiente stabilità primaria iniziale che durante la guarigione hanno permesso di soddisfare le necessità funzionali del paziente, e ne hanno permesso la riabilitazione finale. Il successo di questo intervento è dovuto, a giudizio dell’autore, alla combinazione di più fattori, ovvero, alla scelta di eseguire il sollevamento della membrana sinusale per via idropneumatica, all’utilizzo di impianti che, sebbene di ridotte dimensioni, hanno permesso l’ottenimento di un’adeguata stabilità primaria, e all’impiego di un biomateriale da innesto osseo ottimale, per caratteristiche biologiche e reologiche, per l’esecuzione del tipo di intervento pianificato. A questo riguardo, mentre l’efficacia clinica della componente granulare contenuta nella pasta ossea utilizzata è nota da tempo, come detto in introduzione, l’autore ha potuto apprezzarne, nel contesto di questo intervento, la facilità di impiego. Grazie alla sua consistenza, la pasta ossea è risultata facilmente estrudibile all’interno dei siti di innesto, permettendo di conseguire un riempimento soddisfacente dello spazio al di sotto della membrana, come dimostrato dalla sequenza temporale delle radiografie di controllo. L’innesto di biomateriale per via crestale attraverso siti adiacenti può favorire, attraverso la presenza della pressione idrostatica intrasinusale, la coalescenza del materiale di innesto25; la consistenza pastosa del materiale utilizzato in questo studio potrebbe favorire questo fenomeno, e potrebbe farne un innesto ideale per la conduzione di appositi studi al riguardo.

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L'articolo è stato pubblicato sul numero 1 di Implant Tribune marzo 2018.

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