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Quasi un terzo del genoma umano è coinvolto nella gengivite

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mar. 15 dicembre 2009

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Scienziati portano a termine il primo studio che prende in esame la gengivite a livello molecolare. Si tratta di una importante scoperta per la sua prevenzione e la cura.

La gengivite, una malattia che secondo i dati dell’OMS colpisce circa il 60% degli italiani, è una patologia comunemente attribuita alla mancanza di semplici abitudini di igiene orale. Tuttavia, un nuovo studio evidenzia che lo sviluppo e la guarigione della gengivite a livello molecolare sono apparentemente molto più complicati di quanto le sue cause possano indicare. I ricercatori sottolineano che comprendere i meccanismi a livello molecolare può fornire informazioni fondamentali per la prevenzione delle patologie gengivali e per i nuovi trattamenti.

Ricerche condotte congiuntamente dalla University of North Carolina at Chapel Hill e da Procter & Gamble (AZ e Oral-B) hanno evidenziato che oltre 9000 geni – quasi il 30% dei geni presenti nel corpo umano – sono coinvolti in maniera differente durante il processo di insorgenza e di guarigione associato alla malattia. È stato evidenziato che i meccanismi biologici associati all’attivazione del sistema immunitario rappresentano i principali pathway attivati per controllare la reazione dell’organismo alla formazione del deposito della placca sui denti. Inoltre, altri percorsi di espressione genica attivati durante la crescita della placca comprendono quelli coinvolti nella guarigione delle ferite, nei processi neurali e nel ricambio della cute.

I risultati di questo studio vengono pubblicati oggi sul numero di dicembre 2009 del Journal of Periodontology. Questo studio per la prima volta identifica con successo le il coinvolgimento dei geni e i pathway coinvolti nel processo di insorgenza e di guarigione della gengivite.

La gengivite è caratterizzata da gengive rosse, gonfie e molli che possono sanguinare facilmente durante lo spazzolamento e l’uso del filo interdentale. Se non trattata, la gengivite può portare alla patologia parodontale, ampiamente studiata per la possibile relazione con le patologie cardiache, il diabete e per le donne in gravidanza, parti prematuri.

“I risultati dello studio dimostrano che i sintomi clinici della gengivite riflettono complessi cambiamenti nei processi cellulari e molecolari all’interno dell’organismo” – ha dichiarato il dott. Steven Offenbacher, principale autore dello studio e direttore del Center for Oral and Systemic Diseases presso la UNC School of Dentistry –. “Comprendere le migliaia di singoli geni e i molteplici sistemi implicati nella gengivite aiuterà a spiegare esattamente cosa accade nell’organismo di un individuo nelle prime fasi della patologia e come questo si collega al suo stato di salute generale”.

L’accumulo di placca che si forma durante le prime fasi della gengivite è dovuta alla crescita eccessiva dei batteri in forma di biofilm sui denti, al di sopra e al di sotto della linea gengivale. I biofilm batterici possono formarsi anche in altre parti dell’organismo, ed è noto che sono coinvolti in altre patologie, come le infezioni delle vie urinarie, le infezioni dell’orecchio e la sinusite cronica. I ricercatori ritengono che comprendere come l’organismo interagisca con la crescita eccessiva dei batteri nel corso della gengivite possa fornire informazioni utili su molte delle patologie associate ai biofilm.

“I dati generati dallo studio saranno fondamentali per mettere a punto nuovi approcci al trattamento della gengivite” – ha dichiarato la Dott.ssa Leslie Winston, coautrice dello studio e Direttrice delle Relazioni Professionali e Scientifiche di P&G Oral Care –. “Prevediamo di svolgere ulteriori ricerche per identificare i biomarker della patologia gengivale negli individui a rischio con l’auspicio che ciò porti a nuove e più avanzate opzioni di trattamento e a nuove misure preventive.”

Ad oggi, la migliore forma di prevenzione della gengivite e della malattia parodontale è una corretta igiene orale, che permette di controllare la formazione e l’accumulo della placca batterica. La pulizia professionale ogni 6 mesi e una adeguata routine di igiene orale possono essere strumenti efficaci. Secondo gli esperti è necessario l’utilizzo dello spazzolino, per due minuti, almeno due volte al giorno. In particolare l’utilizzo di uno spazzolino elettrico con tecnologia oscillante-rotante, permette di eliminare fino al doppio della placca rispetto allo spazzolino manuale tradizionale. Insieme allo spazzolino è inoltre indispensabile l’uso di un dentifricio a base di fluoro, del filo interdentale e del collutorio.

Informazioni sullo Studio
L’obiettivo di questo studio era di comprendere la gengivite a livello molecolare, individuando i cambiamenti nell’espressione genica che intervengono nel cavo orale al momento dell’insorgere della gengivite e durante il processo di guarigione. Quattordici individui sani affetti da gengivite lieve hanno preso parte allo studio. Dopo la pulizia dei denti, la gengivite è stata indotta in ciascun partecipante allo studio, a cui ha fatto seguito la compliance da parte dei partecipanti di un regime di igiene orale che prevedeva lo spazzolamento dei denti due volte al giorno e l’utilizzo regolare del filo interdentale. I tessuti gengivali sono stati raccolti, quattro settimane dopo l’induzione della gengivite e una settimana dopo aver ripreso il regime di igiene orale con spazzolino e filo interdentale.

I dati dell’espressione genica sono stati analizzati utilizzando la tecnologia gene chip che consente ai ricercatori di individuare i cambiamenti dell’espressione di oltre 30.000 geni. Applicando strumenti bioinformatici genomici avanzati i ricercatori sono stati in grado di identificare i pathway biologici e gli schemi di espressione genica associati alla gengivite.

Nel quadro dei risultati dello studio, i ricercatori hanno individuato diversi percorsi biologici scatenati dall’insorgere e dalla guarigione della gengivite, fra cui quelli associati alla risposta immunitaria, al metabolismo energetico, ai processi neurali, alla vascolarizzazione, alla chemiotassi, alla guarigione delle ferite e al metabolismo degli steroidi.

Lo studio è stato supportato dal National Institutes of Health e da Procter & Gamble.

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