In occasione dell’ultima assemblea UNIDI svoltasi a Milano Due il 28 giugno, oltre all’analisi compiuta da Roberto Rosso (Key-Stone) sono stati anche presentati i dati dell’ADDE Survey 2018.
Questi dati vengono raccolti da anni dall’Associazione dei Depositi Dentali Europei (ADDE) ovvero dalla sovrastruttura di tutte quelle nazionali della distribuzione, rappresentata per l’Italia dall’ANCAD: una fotografia aerea dell’andamento dell’ultimo anno in rapporto ai quattro precedenti, così da fornire la tendenza del mercato tra i vari paesi UE e gli anni precedenti.
Il primo dato in evidenza è la controtendenza avuta sul numero dei dentisti, sul quale pesa il calo di ben 6.833 dentisti nella sola Gran Bretagna, dove la “perfida Albione” ha mostrato gli effetti del pensionamento della baby boomer generation. Calo che, per il secondo anno consecutivo e per motivi in parte diversi dal solo pensionamento, si è manifestato anche in Olanda ed in Belgio, Paesi già alla ricerca di dentisti dall’estero (Italia inclusa).
Non tanto per un’esigenza numerica, ma perché la preponderante quota rosa odontoiatrica si dedica alla professione con un certo numero di ore lavorative (dando ovviamente il meglio) per poi dedicarsi alla propria vita privata.
Questo calo che si tradurrà inevitabilmente in una riduzione del numero degli studi odontoiatrici, è alle porte anche in Italia se si pensa che dei 61.586 iscritti all’Ordine 1.376 iscritti sono di età uguale o maggiore di 75 anni, ai quali occorre aggiungere i 2.090 tra i 70 e i 74, oltre ai 7.462 tra i 65 ed i 69. Facilitando il conto, il totale è di 10.928 odontoiatri, cui aggiungere, sempre in un decennio, i 12.977 nella fascia d’età compresa tra i 60 ed i 64 anni.
Parte di questo calo sarà ovviamente compensato dalle 800 new entry annuali dei laureati in Odontoiatria in Italia, cui vanno aggiunti i circa 1.800 studenti italiani iscritti nelle Università in Spagna, senza contare, (“mission impossible”) gli iscritti nelle Università degli ex Paesi dell’Est.
Non sono questi numeri che fanno pensare bensì la distanza tra la bassa propensione dei giovani laureati ad aprire un proprio studio rispetto alle richieste del mercato, gap causato dal disallineamento tra quanto appreso sui banchi all’università e ciò di cui avrebbe “anche” bisogno il giovane odontoiatra. Il quale entra da subito a far parte di un mondo che, a livello europeo rappresenta professionalmente l’eccellenza odontoiatrica, che tuttavia non lo prepara ad esercitare la libera professione in un mercato che si evolve, che anzi è già cambiato.
Passiamo ora al fatturato globale del comparto europeo, ovvero al volume delle vendite effettuate dalla distribuzione allo studio odontoiatrico e al laboratorio odontotecnico, rilevando che si parla di una cifra considerevole da oltre un quinquennio in trend positivo. Tale cifra ammonta a seimilionieottocentocinquantasettimila euro: l’Italia quindi è incontrovertibilmente il secondo mercato europeo, anche se al mantenimento della posizione ha pesantemente contribuito il comparto delle attrezzature, ancora leggermente drogato dall’effetto fiscalmente positivo del superammortamento (130%) e dell’Iperammortamento (250%). Un effetto destinato a concludersi definitivamente a dicembre con un bel “Game Over”.
Negli altri Paesi, come in Francia, è stato invece il materiale di consumo a reggere l’impatto sul fatturato globale. Questo significa che il mercato italiano, per quanto sia andato bene, è cresciuto più lentamente dei mercati limitrofi perché ancora risente dei non favorevoli fattori macro e microeconomici del Paese.
Un dato per tutti: a livello europeo la relazione tra PIL e spesa in salute in generale (odontoiatria inclusa) viaggia da tempo intorno allo 0,3% e manifesta una tendenza a diventare l’1,1% nel lungo periodo (ovvero si spenderà più del PIL), mentre in Italia, anche se si è cresciuti dello 0,6 tra il 2009 ed il 2015, si prevede un calo dell’1,5 tra il 2015 ed il 2020.
Se questi indicatori sono un termometro è chiaro che il dentale è in buona forma, anche se non gode di ottima salute. È evidente inoltre che si debba continuare ad investire a tutti i livelli, anche se i ritorni sono un po’ bassi e lenti, perché bisogna sapere andare oltre a quello che ci appare ed è immediatamente visibile.
Una sola domanda prima di concludere. Come mai, solo in Italia appare così irrisorio il fatturato dei servizi per la messa in funzione di veri e propri “medical device” quali le attrezzature odontoiatriche, anche se sommato a quello dall’indispensabile manutenzione ordinaria (effettuabile solo da tecnici autorizzati con ricambi originali) per il legale mantenimento dell’MD dopo 12 mesi dall’avvenuta installazione?
Due soli dati: Italia 27 milioni di euro contro i 25 dell’Olanda, che “pesa” quasi quanto la sola Lombardia, per non parlare dei 50 milioni di euro della Francia o dei 209 della Germania. È arrivato forse il momento che tutto il dentale impari a fare “insieme” sistema, come altri settori hanno già fatto, cominciando a comprendere che la collaborazione tra industria, distribuzione, odontoiatri, igienisti ed odontotecnici passa solamente attraverso il ruolo cruciale delle associazioni.
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