Il diabete mellito (DM) comprende un gruppo eterogeneo di disturbi metabolici accomunati dalla presenza di instabilità del livello glicemico del sangue, passando da condizioni di iperglicemia, più frequente, a condizioni di ipoglicemia.
Alla base di questi disturbi si hanno la mancanza assoluta o relativa dell’insulina, o la ridotta sensibilità all’azione di questo ormone o, infine, l’associazione tra le due precedenti condizioni. Nel 2005 l’American Diabetes Association ha differenziato, basandosi su un criterio eziologico, quattro tipi di diabete.
Il diabete di tipo I caratterizzato dalla distruzione delle cellule b produttrici dell’insulina, diabete di tipo II associato a una aumentata resistenza all’insulina; cui può anche associarsi un deficit relativo dell’ormone; diabete di tipo III che riconosce varie eziologie (genetiche, infettive, farmacologiche, ecc.); e il diabete di tipo IV detto anche diabete gestazionale1. Circa il 90% della popolazione diabetica è affetta da DM di tipo II.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il diabete si sta affermando come un’epidemia globale, con delle complicanze che hanno un impatto significativo sulla qualità della vita, la longevità e i costi sanitari. Attualmente circa 347 milioni di persone al mondo ne sono affette e si prevede per l’anno 2030 il raggiungimento della cifra di 439 milioni di persone; ciò rappresenterebbe un aumento del 54% in venti anni tale da interessare quasi una persona su dieci dai venti anni d’età in su2. L’interesse scientifico sull’associazione tra diabete e parodontite è tutt’altro che nuovo. Già alla fine degli anni ’40 Cohen e Fosdick avevano messo in evidenza un rapporto tra malattia parodontale (MP) e DM e avevano sottolineato la maggiore prevalenza di MP nei soggetti diabetici rispetto ai soggetti non diabetici3. Il work-
shop in parodontologia svoltosi a Segovia, in Spagna, nel novembre 2012 ha riassunto tutti i dati disponibili e ha definito i nuovi standard sull’associazione tra MP e DM4.
Meccanismo biologico
La plausibilità biologica che supporta la suddetta relazione è basata sul fatto che sia la MP che il DM hanno nell’infiammazione sistemica un denominatore comune. Ed è proprio l’infiammazione il fattore che reciprocamente rende le due patologie in grado di influenzarsi.
Perché un paziente diabetico ha più probabilità di sviluppare la MP?
L’infiammazione precede la comparsa del diabete ed è correlata alla resistenza all’insulina5, allo sviluppo stesso del diabete6 e alle sue complicanze7. Studi clinici ed esperimenti animali indicano che nel paziente diabetico la conseguente iperglicemia determina un’aumentata produzione di citochine quali IL-1b, TNF-a e IL-6 che presentano un ruolo attivo nell’insorgenza di parodontite8. Inoltre, l’iperglicemia determina la formazione di prodotti glicati finali (AGE) i quali – legandosi sui loro recettori (RAGE) presenti su varie cellule del corpo (cellule epiteliali, cellule del sistema immunitario) ma anche su organi come il fegato, i polmoni, i reni – svolgono un’azione pro-infiammatoria contribuendo alla comparsa di patologie croniche quali l’aterosclerosi, la retinopatia e la MP8. Negli ultimi anni, parlando di possibile connessione tra DM e MP, sono state chiamate in causa alcune molecole, tra le quali vale la pena annoverare le adipochine. Attualmente i dati disponibili riguardo a un loro eventuale ruolo nel percorso etiopatogenetico della MP, se pur capaci di lasciar intravedere un futuro promettente, meritano una ulteriore verifica scientifica. Un altro aspetto su cui il dibattito della comunità scientifica internazionale rimane ancora acceso, riguarda l’influenza che lo stato di dismetabolia possa esercitare sul biofilm orale. Le evidenze disponibili suggeriscono che il DM non sembra influenzare il numero e il tipo di microrganismi parodontopatogeni presenti nel cavo orale8.
Perché un paziente affetto da MP ha più probabilità di sviluppare la DM?
Studi animali ed evidenze epidemiologiche hanno suggerito che l’infiammazione sistemica determinata dalla MP, caratterizzata da un incremento della concentrazione sierica di IL-6, proteina C reattiva e TNF-a, potrebbe aggravare lo stato infiammatorio del soggetto diabetico8. Inoltre, lo stress ossidativo conseguente l’infiammazione sistemica e riscontrabile nei pazienti affetti da MP potrebbe aumentare l’ossidazione lipidica che a sua volta avrebbe un effetto pro-infiammatorio nel paziente diabetico8. L’ingravescenza dello stato infiammatorio determina sia nel paziente parodontale e diabetico conclamato che nel paziente parodontale non diabetico un peggioramento del controllo glicemico.
Evidenza epidemiologica
Gli studi più recenti hanno evidenziato nel diabete un importante fattore di rischio per la parodontite e, nella parodontite un’importante complicanza del diabete, tanto da essere stata definita la “sesta complicanza”9. Uno studio su una popolazione di indiani americani della comunità di Gila River (indiani Pima) ha dimostrato che la parodontite severa era associata a uno scarso controllo glicemico dopo 5 anni di periodo di controllo. Coloro che presentavano una perdita di attacco (CAL) di minimo 6 mm sviluppavano un rischio 6 volte maggiore di avere un cattivo controllo glicemico in raffronto a coloro che non avevano perdita d’attacco10.
In campioni di popolazione superiori ai 1.000 soggetti, si è riscontrato che dopo 5 anni, un aumento nel valore medio di CAL, ma non di profondità di tasca (PPD), si associava a un aumento di emoglobina glicosilata (HbA1c – forma di emoglobina usata per identificare la concentrazione plasmatica media del glucosio degli ultimi 3 mesi)11. In aggiunta, i soggetti in salute parodontale (in baseline e durante tutta la durata dello studio) avevano un minore aumento del HbA1c rispetto a coloro con una peggiore salute parodontale (sia in baseline che durante i 5 anni di osservazione: 0.005 contro 0.143%; p = 0.003).
Di contro, in uno studio condotto in Giappone dopo 10 anni di osservazione, la tolleranza al glucosio peggiorava in maniera contestuale all’aumento medio del PPD; per ogni millimetro di peggioramento della profondità di tasca si verificava uno 0,13% di aumento di HbA1c12 implicando che la MP potrebbe interferire con il controllo glicemico.
Effetto del trattamento parodontale sul diabete
Durante gli ultimi anni è risultato evidente che il rapporto tra DM e MP non si limita alla maggiore prevalenza e alla maggiore gravità della MP nei soggetti diabetici, ma è ben più complesso e di tipo bidirezionale. Numerosi studi sono stati effettuati con l’obiettivo di verificare se il trattamento parodontale è in grado di migliorare o meno il livello glicemico nei pazienti diabetici. Nella recente revisione della letteratura effettuata da Engebretson e Kocher nel corso dell’ultimo workshop in parodontologia sono stati inclusi e analizzati 9 studi clinici randomizzati13. Questa metanalisi, che come misura del controllo glicemico ha utilizzato l’HbA1c, ha evidenziato una modesta, statisticamente significativa, riduzione dell’HbA1c (miglioramento dello stato glicemico) dell’ordine di 0,36% nel gruppo dei pazienti diabetici che erano stati sottoposti a trattamento parodontale chirurgico e non-chirurgico. Gli autori della metanalisi hanno concluso che la ridotta dimensione dei campioni studiati, l’alto rischio di bias tra gli studi inclusi e le diverse tecniche di terapia parodontale applicate rappresentano dei limiti per la revisione. Inoltre hanno sottolineato la necessità di effettuare studi clinici randomizzati su ampi campioni di soggetti affetti da DM affinché si possa trarre delle conclusioni definitive. Nonostante questi limiti il risultato della metanalisi è simile a quello che può essere raggiunto aggiungendo un secondo farmaco al regime di prescrizioni utilizzate nel trattamento del paziente diabetico8. Questo significa che un’efficace terapia parodontale sarebbe in grado di contribuire al controllo glicemico del paziente diabetico e pertanto ridurrebbe il rischio di complicanze indotte dal diabete stesso.
Conclusioni
I dati presenti nella letteratura scientifica al momento suggeriscono che:
1. la malattia parodontale è associata al diabete mellito;
2. i meccanismi fisiopatologici alla base dell’associazione tra MP e DM devono essere ancora chiariti ed è necessario determinare in modo chiaro se la MP possa effettivamente essere causa del diabete;
3. esiste un diffuso consenso nel considerare che nel soggetto diabetico la MP sia più prevalente e decorra in modo più grave rispetto al soggetto non diabetico;
4. la terapia parodontale potrebbe contribuire al raggiungimento di un miglior controllo glicemico e le attuali evidenze convergono sul fatto che l’igiene professionale accoppiata a una efficace cura domiciliare migliorano la salute generale del paziente diabetico;
5. la cooperazione interdisciplinare tra odontoiatri e internisti potrebbe favorire un triage diagnostico di maggiore efficacia in termini preventivi e un approccio terapeutico maggiormente risolutivo.
Bibliografia
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3. Cohen B, Fosdick LS. Chemical studies in periodonatl disease; the glycogen content of gingival tissue in alloxan diabetes. Journal of Dental Research 1950; 29: 48-50.
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8. Taylor JJ, Preshaw PM, Lalla E. A review of the evidence for pathogenic mechanisms that may link periodontitis and diabetes. Journal of Clinical Periodontology 2013; 40 (Suppl. 14): S113–S134.
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