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Odontoiatria e Servizio Sanitario Nazionale

Manuzzi William, Longhin Roberto, Tonini Maurizio, Di Michele Pietro.

gio. 19 giugno 2014

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In Odontoiatria è scontato parlare di professione privata. Talmente scontato che la distinzione tra pubblico e privato suona addirittura insolita. Eppure una buona fetta di specialità (e anche d’eccellenza) va compresa sotto questa etichetta. Ne parla diffusamente, con grande calore, Pietro Di Michele in quest’ampia intervista rilasciata a Dental Tribune.

Perché un tale divario tra Odontoiatria pubblica e privata?
La ringrazio per questa domanda, mi consente di fare chiarezza su alcuni aspetti molto interessanti della storia dell’Odontoiatria sociale. Per cominciare a parlare di Odontoiatria Italiana pubblica, dobbiamo arrivare all’ultima riforma importante della Sanità degli anni Novanta, quando si passò dalle Unità Sanitarie Locali alle Aziende Sanitarie.
In quegli anni si cominciò a parlare di un nuovo “welfare” e di riorganizzare la sanità pubblica, sotto l’esigenza di contenere i costi a fronte di qualità ed efficienza. In questo contesto socio-politico la Riforma Bindi del ’99 portò tra le tante novità l’esigenza di eliminare l’Odontoiatria dal S.S.N. a esclusione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), Riforma sostenuta anche dal ministro Sirchia, nel 2001: «Non è possibile dare tutto a tutti quindi ci si limita al minimo», ossia prevenzione primaria nelle elementari, visita odontoiatrica per tutti e un numero modesto di prestazioni, per lo più a carattere di urgenza. Contemporaneamente si demandò alle Regioni, secondo le proprie capacità, di attuare programmi specifici d’Odontoiatria, oltre all’assistenza minima, detti “livelli aggiuntivi”. Ad oggi il 60% dei S.S. regionali ha individuato percorsi aggiuntivi, caratterizzati da prestazioni garantite solo a fasce di popolazioni più deboli con criteri su base socio-sanitaria.
Nel panorama nazionale le prime regioni furono Toscana, Emilia Romagna e Lombardia. Infine, grande novità in esse, vengono erogate prestazioni di conservativa, ortodonzia, protesi e chirurgia orale, tutte in un contesto di “capitale sociale” con prestazioni odontoiatriche di qualità e un modello sociale e sostenibile, ma per una cerchia più ristretta di popolazione. Obiettivo da raggiungere coprire dal 5 al 10% con assistenza odontoiatrica uniforme la popolazione sul territorio, essendo il rimanente 90% rappresentato dal privato.
Sappiamo che ancor oggi più del 50% della popolazione non va dal dentista. Occorre evitare un’assistenza odontoiatrica pubblica rappresentata geograficamente a macchia di leopardo, con opportunità assistenziali diverse a seconda delle regioni. Da sempre in Italia l’assistenza odontoiatrica è prevalentemente di tipo privato, certo con motivazioni differenti.

È una situazione tipicamente italiana o è presente anche in altri paesi?
Per poterci confrontare con altri paesi, è opportuno guardare ai modelli assistenziali in Europa. A me piace osservare sempre chi è avanti a noi in termini di qualità e di esperienza: quindi si guarda subito al nord. Ma è opportuno ricordare che, pur avendo il nostro Paese un servizio sanitario (S.S.N.) di qualità, invidiato da tutto il mondo, noi non ne abbiamo stima. Non siamo capaci di rappresentarlo con un logo rappresentativo nel mondo.
L’Inghilterra all’inaugurazione delle Olimpiadi ha rappresentato con una pubblicità importante il N.H.S. (il nostro S.S.N.) al mondo come un fiore all’occhiello. Da noi mai nessuno ne parla se non in termini negativi. In quella stessa Inghilterra si è arrivati al dentista di famiglia, con una copertura capillare obbligatoria. Ma il sistema non è andato a buon fine per qualità scadente ed eccessiva onerosità. Non parlo di altre nazioni più piccole dell’Italia, perché si tratta di altre culture, contesti e tradizioni differenti.
Per la nostra situazione è indispensabile pensare a modelli gestionali nuovi che guardino con attenzione a soluzioni di pubblico/privato.

Ma che cosa vuol dire oggi fare il dentista nel pubblico? La crisi ha fatto aumentare la domanda?
Sono contento di questa domanda, perché finalmente proviamo a chiarire cosa vuol dire fare questa professione nel pubblico. Vuol dire oggi essere “Odontoiatra di comunità”, dove è richiesta una completa conoscenza delle discipline odontostomatologiche, grazie all’uso di tecnologia di supporto e di giusta professionalità, risultati di una “best practice”. Inoltre, un profilo professionale supportato da grande umanità, sensibilità, capacità d’ascolto, comunicazione, versatilità e disponibilità verso il paziente. La nostra prestazione è prettamente ambulatoriale e solo in determinati casi è necessario un ricovero in “day surgery”.
Essere di comunità, vuol dire Odontoiatria efficace, risolutiva , funzionale, nel rispetto della qualità. Oggi vi vengono erogate prestazioni di endodonzia, ortodonzia, protesi, chirurgia, implantologia, parodontologia e altro, con appropriatezza e qualità gestionale. Quanto alla richiesta di prestazioni, l’attuale difficoltà economica ha colpito in maniera più pesante la media borghesia che ricorre sempre più al servizio pubblico. In Emilia Romagna in un nucleo familiare di 4 persone, dove due adulti lavoravano, almeno uno ha perso il posto. Il nuovo reddito ISEE, ridotto per vulnerabilità sociale, consente di accedere al servizio pubblico e non è necessario che si ricordi quanti sono in cassa integrazione o hanno perso il posto di lavoro. Registriamo in questi anni una domanda crescente di visite e prestazioni con tempi di attesa sempre più pesanti. Quanto alla richiesta da parte degli odontoiatri di entrare nel servizio pubblico, ho avuto modo di constatare un aumento di domande. Qualche anno fa era difficile trovare disponibilità negli odontoiatri, mentre oggi anche per poche ore di ortodonzia alla settimana in una città della mia regione ho potuto verificare un gran numero di domande con curricula formativi di grande rispetto.
Un risultato che si deve a due fattori: primo, la crisi della libera professione che mostra il suo fianco con tutte le proprie debolezze, il secondo, a me molto caro, testimonia una realtà: l’Odontoiatria pubblica, quando funziona, diventa motivo d’attrazione e arruolamento.
Dove c’è un pubblico di qualità c’è possibilità di calmierare il privato a vantaggio del paziente.

Lei è il responsabile di un’Odontoiatria pubblica ritenuta molto efficiente. Le risulta questa definizione?
Mi viene riconosciuto quando sono in giro per l’Italia odontoiatrica, ma la mia preoccupazione in questi anni era soprattutto di dare assistenza dignitosa ai pazienti in quell’“Odontoiatria di comunità” territoriale di cui stiamo parlando. Essere dirigente medico del S.S.N. è per me motivo d’orgoglio: come indossare la maglietta della Nazionale di calcio.
Non essendoci tante altre esperienze assistenziali, la stretta vicinanza culturale alla Toscana e l’attenzione alle altre discipline mediche presenti in Sanità, hanno consentito una crescita continua e graduale della qualità del nostro servizio, incrementando quel “capitale sociale” di cui tutti siamo titolari come bene comune. In seguito agli stimoli continui e grazie alla stretta collaborazione scientifica del modello Emilia/Toscana, nasce finalmente nel 2006 la SOCI, Società Odontoiatria di Comunità Italiana, per riqualificare l’Odontoiatria pubblica e rappresentarla con dignità nel vasto panorama di Associazioni e Società tutte rappresentative della professione privata.
Abbiamo voluto coagulare in un’unica sigla tutti i professionisti (ospedalieri, universitari, specialisti ambulatoriali, circa 5.000) che a vario titolo lavorano per il pubblico odontoiatrico nazionale e mai rappresentati prima d’ora: una squadra invisibile, ma ben presente! All’Università, punto di riferimento di ricerca, formazione, specializzazione e per questo sempre ben celebrata, l’Odontoiatria privata ha sempre fatto da padrona, specie negli anni del benessere. L’Odontoiatria pubblica mal organizzata, salvo rari casi, aveva pertanto perso terreno.
Ma i tempi erano maturi per rappresentarci sotto una bandiera unica, quella della SOCI, che ho guidato in qualità di Presidente sino a fine 2013. Dall’inizio del ’14 la guida è passata all’amico prof. Roberto Deli, ma con grande entusiasmo si continua ad andare avanti tutti insieme nel confronto delle esperienze cliniche e gestionali. In questi anni abbiamo avuto la soddisfazione di veder partire e consolidarsi tante realtà pubbliche nella ricerca dell’eccellenza come a Catania, Catanzaro, Cosenza, Pescara, Ravenna, Genova, Sanremo, Lucca ,Udine e in tante altre sedi territoriali.
Alcuni esempi di modello di efficienza pubblica:
- L’informatizzazione della rete ambulatoriale odontoiatrica per referti, cartelle cliniche e diagnostica.
- L’utilizzo di laser, radiologia digitale e altra tecnologia per rendere più efficiente la prestazione.
- Contrassegnano il passaggio dal vecchio al nuovo servizio pubblico la presenza di ortodonzia e protesi fissa, diga, di endodonzia clinica, la presa in carico del paziente vulnerabile sanitario non collaborante, la prevenzione nella scuola primaria.

Quindi oggi è sostenibile un’Odontoiatria pubblica?
Lo è, e deve essere presente nel territorio nazionale. In poche parole la partita si gioca su pochi ingredienti:
- Una “mission” politica chiara, da individuare su temi di vulnerabilità sanitaria e sociale e nella ricerca di eccellenza, come avviene per altre discipline mediche.
- La continua ricerca di “strategie di sistema” aventi per obiettivo la riduzione dei costi di gestione: ad esempio, un’area vasta di acquisti, appalti mirati, il passaggio dal laboratorio alle industrie odontotecniche e altro, mirando sempre al meglio.
- L’acquisto delle prestazioni. Le aziende sanitarie mediamente erogano prestazioni. Ma là dove per motivi differenti non fosse possibile, l’opportunità di ricorrere per la parte della “vulnerabilità sociale” (ossia popolazione economicamente indigente) all’acquisto di prestazioni odontoiatriche di conservativa e protesi dal privato, a prezzi calmierati pari ai nomenclatori regionali, ma sotto il diretto controllo dell’azienda di riferimento. Non penso certamente a un sistema tradizionale di accreditamento, perché in odontoiatria non ha funzionato.
- L’utilizzo di “alta tecnologia” per migliorare la produzione e il numero delle prestazioni.
Gli ingredienti, come si vede, non sono molti, ma per attuare tali sistemi occorre continuare, tra i giovani, a formare la dirigenza per l’Odontoiatria di comunità.

 

L'articolo è stato pubblicato sul numero 6 di Dental Tribune Italy 2014.

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