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«E se le otturazioni, tra un paio d’anni, diventassero il remoto passato dell’Odontoiatria?» Se lo chiede Fabio Di Todaro, autore di un articolo uscito sul La Stampa il primo febbraio col titolo “Mai più otturazioni con le staminali in bocca”. A infondere speranza ai pazienti (più che ai dentisti) sono i ricercatori del King’s College di Londra, autori di uno studio sull’efficacia del “Tideglusib” (farmaco attualmente usato nella cura dell’Alzheimer ndr.) nella rigenerazione della polpadentale. Messo alla prova sui topi, afferma l’articolo, il farmaco, si è rivelato in grado di attivare le cellule staminali della polpa dentale e rigenerare così la parte danneggiata che non produce più dentina.
«Non si tratta di usare cellule staminali trapiantate – commenta Luigi Grivet Brancot, collaboratore scientifico di Dental Tribune Italia – ma di attivare tramite questo farmaco quelle già esistenti nella polpa. Quindi non c’è niente di scorretto e illegale, se il farmaco funziona ben venga. C’è da dire – continua Grivet – che la filosofia è corretta, in perfetta sintonia con le ultime scoperte in tema di cellule staminali, da cui pare emergere che non siano quelle trapiantate a rigenerare i tessuti ma i segnali molecolari (secretomi) che queste emettono nell’ambiente circostante. Agiscono sicuramente con meccanismo paracrino e probabilmente anche olocrino sui tessuti circostanti. Le cellule mesenchimali cioè non agiscono in maniera diretta ma inducono l’attivazione dei fenomeni rigenerativi tramite “messaggeri” che inviano nell’ambiente circostante».
Quindi, se questo “Tideglusib” funziona – osserva Grivet – agirebbe orientando in senso odontoblasico le cellule mesenchimali già presenti nella polpa. La cosa che però l’articolo non dice è che il farmaco è veicolato su una spugna di collagene che funge da “carrier” e al tempo stesso da “scaffold”: la spugna si degrada progressivamente ed è sostituita da dentina. Secondo noi il collagene è fondamentale come nella neo-osteogenesi e sarebbe interessante fare un esperimento in doppio cieco per verificare che non sia sufficiente il collagene per ottenere lo stesso risultato.
«Come ipotizza il prof. Enrico Gherlone – conclude Grivet, spero non si attui la sperimentazione sui cani in quanto la trovo inutile e poco etica: del resto non mi sembra così pericolosa e traumatica da applicare direttamente sugli uomini dal momento che il farmaco è già stato provato per la cura dell’Alzheimer. E poi un tempo (e forse anche adesso) non si facevamo pure gli incappucciamenti pulpari diretti e indiretti?».
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