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Le nuove tecnologie in implantoprotesi

Luigi Galasso

Luigi Galasso

mar. 7 febbraio 2012

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Immagino che si possa ritenere che l’implantologia, dalla fine dello scorso millennio, abbia cambiato in maniera profonda l’odontoiatria. La scoperta e la messa a punto con criteri scientifici dell’osteointegrazione e delle tecniche a essa connesse da parte del Professor Per-Ingevar Brånemark avvenuta all’incirca alla metà degli anni sessanta, ha aperto uno scenario nuovo e ricco di possibilità e prospettive fino ad allora ancora precluse alla professione.

Ma, come spesso accade nel mondo scientifico, lo sviluppo di un settore funge da volano per altri e così, ben presto, abbiamo assistito ad altri due cambiamenti che hanno inciso in maniera altrettanto decisiva nel mondo dell’odontoiatria. Mi riferisco all’odontoiatria adesiva e, quindi, all’enorme miglioramento e incremento di affidabilità dei compositi e degli adesivi allo smalto e alla dentina e, naturalmente, allo sviluppo delle tecnologie legate ai computer. Si tratta, in quest’ultimo caso, di un vasto settore che coinvolge la diagnosi, la progettazione e la produzione.
Le ultime due aree, quelle d’interesse più strettamente protesico e che coinvolgono, in realtà, sia l’odontoiatria che l’odontotecnica, hanno avuto un impatto enorme. Per quanto riguarda la diagnosi, mi basterà dire che le applicazioni legate alla navigazione intraossea per la determinazione e la valutazione dei siti per l’inserimento degli impianti e la conseguente progettazione e costruzione delle protesi, che può avvenire a volte in fase ancora pre-chirurgica, ha creato nuove prospettive e rafforzato le potenzialità cliniche di realizzare il carico immediato in maniera più rapida ed efficace.
Al di là delle tecnologie legate ai materiali, con la comparsa e lo sviluppo delle così dette ceramiche integrali di ultima generazione, che, come accennato, si sono giovate dei miglioramenti dell’odontoiatria adesiva, si è raggiunto un nuovo livello di capacità nel risolvere i problemi di estetica. E se ciò non bastasse, anche sul versante del laboratorio si sono determinati effetti molto favorevoli. Infatti, se è vero che la produzione delle armature protesiche si è spostata principalmente verso grosse unità di produzione centralizzate e a livello industriale, è anche vero che la parte più creativa e più gratificante, ossia la ceramizzazione con i suoi risvolti nell’estetica, è rimasta ancora saldamente nelle mani degli odontotecnici. Peraltro, tutti i processi legati alle fusioni a cera persa sono inquinanti e poco salutari per chi svolge questo lavoro.
Se volessimo ripercorrere a grandi linee la storia dell’implantologia moderna, ci renderemmo conto che le prime fasi furono caratterizzate da una forte spinta verso la standardizzazione. Standard erano, infatti (e grosso modo lo sono ancora), le misure degli impianti, standard erano i pilastri da connettere a essi e standard erano le componenti protesiche. Si voleva evitare, così facendo, di lasciare che l’arbitrio e gli inevitabili errori della produzione artigianale potessero compromettere e mettere in discussione il risultato finale della terapia. Ovviamente, alla standardizzazione è connaturato anche un grosso limite, ossia, l’impossibilità di adattamento individuale all’infinita variabilità anatomica. Tuttavia, già tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta questo limite cominciava a essere superato grazie alla comparsa di componentistica “individualizzabile”. Si trattava di elementi calcinabili, elementi combinati (base lavorata al tornio sormontata da manicotti calcinabili per sovrafusioni) o, infine, elementi in titanio, che potevano essere lavorati scavando dal pieno. In un secondo tempo apparvero anche dei pilastri in allumina che potevano essere lavorati sia per sottrazione che per addizione. Una discussione sui vantaggi e gli svantaggi di queste varie e diverse componenti sarebbe lunga e articolata e non pertinente alla nostra discussione, ma basti dire che il passo successivo che rappresentò il vero grande progresso che ha portato fino alle evoluzioni che oggi conosciamo e utilizziamo fu quello delle prime introduzioni sul mercato di sistemi CAD-CAM.
Ancora una volta, la combinazione di più progressi scientifici in diversi settori, paralleli o anche distanti tra loro, ha condotto alle attuali ben conosciute potenzialità terapeutiche. Si realizzava in tal modo, la coniugazione di due mondi apparentemente distanti e inconciliabili, cioè quello della precisione della lavorazione industriale con quello dell’adattabilità individuale tipico della lavorazione artigianale. Soprattutto, a mio modo di vedere, ciò che ha segnato in maniera positiva il progresso dell’implantoprotesi degli ultimi anni è questa grande possibilità di adattare i protocolli terapeutici a una grandissima varietà di situazioni cliniche pur mantenendo un forte controllo delle variabili proprio grazie all’ausilio dei nuovi mezzi digitali.
All’implantologia, forse più che ad altre materie in campo odontoiatrico, va ascritto un grande merito, quello di aver sancito in maniera chiara e indiscutibile che qualsiasi realtà applicativa e industriale ha validità solo se opportunamente valutata da un punto di vista scientifico e clinico. Quindi, la flessibilità dei protocolli non può prescindere dai riscontri scientifici.
Ciò detto, sarà interessante analizzare un caso clinico nel quale si sono applicate diverse tecnologie, dalla diagnosi alla produzione.

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Il caso si presenta come una edentulia distale bilaterale superiore, presenza di radici necrotiche residue del 26 e del 27 e gravi compromissioni parodontali del 15 - 25 - 32 - 31 - 41 - 42 come si evince dalle immagini 1 e 2. La terapia si è articolata in varie fasi. Dopo la terapia iniziale, l’eliminazione dei fattori di rischio e l’attento studio e pianificazione del caso, si è passati all’inserimento di 4 impianti in sede 16 - 17 - 26 - 27. Questi ultimi due, a rigor di termini, andrebbero considerati dei post-estrattivi immediati, ma nella pratica la situazione era molto più assimilabile a quella di una sella edentula. Si è optato per un carico immediato utilizzando la tecnica Nobel Guide™, Nobel Biocare® Holding AG, Zurich, Switzerland, grazie alla quale è stato possibile analizzare tridimensionalmente i volumi ossei (Fig. 3), determinare i siti di inserzione degli impianti (Figg. 4, 5), ottenere una mascherina di posizionamento (Figg. 6, 7) e dei provvisori in fase preoperatoria (Figg. 8, 9). Proprio grazie alla mascherina di posizionamento, è stato possibile eseguire una chirurgia guidata e flapless ottenendo un posizionamento degli impianti esattamente in linea con il progetto digitale (Figg. 10, 11). Una volta inseriti gli impianti (Fig. 12), sono stati collocati al di sopra di essi dei tubi provvisori (Fig. 13) grazie ai quali vengono fissati i provvisori armati in resina (Fig. 14) fabbricati in fase prechirurgica, proprio in linea con quanto pianificato (Fig. 8).
L’iter terapeutico è proseguito affrontando le estrazioni di 42 - 41 - 31 - 32 e inserendo anche in questa sede due impianti postestrattivi in posizione 42 e 32 (Fig. 15). Anche in questo caso si è optato per un carico immediato in considerazione delle favorevoli condizioni cliniche e si è proceduto a realizzare un’impronta per la fabbricazione dei provvisori con una tecnica alla poltrona (Figg. 16, 17).
Ultimati i tempi di guarigione, si era in grado di affrontare con molta tranquillità l’estrazione di 15 e 25 e, dopo aver atteso la perfetta guarigione dei siti, si è provveduto all’inserimento di due impianti nelle medesime sedi. La modifica dei provvisori con l’aggiunta dei due elementi estratti in estensione, ha consentito di limitare al minimo il discomfort per il paziente.
Infine, con il completamento di questa ulteriore fase di guarigione, si è potuto finalizzare il caso. Per l’arcata superiore si sono utilizzati dei PIB in zirconia (Procera® Implant Bridge - Nobel Biocare® Holding AG, Zurich, Switzerland) che ci consentono di adottare una soluzione avvitata che al contempo presenta il vantaggio della resa estetica. Si tratta di protesi costruite, come è facile immaginare, con tecnologie computerizzate (Fig. 18) o meglio, di acquisizione a mezzo scanner di un modellato e conseguente uso di tecnologia CAM. La ceramica viene stratificata direttamente sulla struttura in zirconia e ciò consente di evitare l’uso di pilastri (Figg. 19, 20).
Per quanto riguarda l’arcata inferiore, invece, ultimati i tempi di guarigione e ottenuto un buon condizionamento della gengiva perimplantare (Figg. 21, 22), si è provveduto a realizzare dei pilastri Procera® in zirconia (Procera® Abutment - Nobel Biocare® Holding AG, Zurich, Switzerland) (Figg. 23, 24) sui quali verrà in seguito realizzato un ponte in zirconia Lava® (3M ESPE - Hermeslaan 7, B-1831 Diegem, Belgium). Anche in questo caso si tratta di acquisizioni digitali di un modellato e di successiva applicazione di tecnologie CAM (Fig. 25). Si può notare la perfetta corrispondenza dell’immagine digitale con quella clinica (Figg. 23, 25). Una volta disegnato (Fig. 26) e prodotto il guscio in zirconia, viene stratificata la ceramica (Fig. 27) e, anche in questo caso, i risultati clinici sembrano soddisfacenti (Fig. 28).
Concluderei dicendo che là dove sembrerebbe che la produzione di protesi fissa, tradizionale e non, in ceramica abbia fatto registrare una tendenza in negativo intorno al 12%, al contempo si è assistito a un incremento del 37% degli elementi prodotti con metodiche CAD o, comunque, computerizzate, che rappresentano, ormai, il 17% della protesi fissa.
Le tecnologie continuano a svilupparsi in maniera ferma e costante e ad esse dobbiamo sicuramente ascrivere molti dei progressi sul fronte della clinica, ma la tecnologia da sola non basta a garantire sicurezza e successo delle terapie. Intelligenza e buon senso, insieme all’aggiornamento culturale e alle capacità di un “buon medico” saranno sempre la migliore arma per evitare in andare incontro a insuccessi e complicanze.

 

 

L'articolo è stato pubblicato su Today SIO 2012.
 

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