Il “Regolamento (Ue) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio 27 aprile 2016, sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla loro libera circolazione in abrogazione alla Direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla protezione dei dati)”, è entrato in vigore il 25 maggio. Noto al pubblico come GDPR, ecco il commento di uno specialista in materia.
L’entrata in vigore del provvedimento è stata preceduta da due anni di “vacatio”, tra la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale UE e la sua presa d’effetto, un periodo che sarebbe dovuto servire agli operatori economici europei per prepararsi nel migliore dei modi, ma purtroppo ciò non è avvenuto. Le aziende sono arrivate all’appuntamento del 25 maggio in ordine sparso.
Va detto che l’Italia non è l’unico Paese in ritardo: a gennaio 2018, secondo il commissario UE alla Giustizia Vera Jourova, solo Austria e Germania erano in linea con le previsioni; nello stesso periodo, uno studio dell’Osservatorio Information Security & Privacy del Politecnico di Milano rilevava che il 58% delle grandi aziende aveva già dedicato un budget all’adeguamento e che la conoscenza delle nuove regole era oramai diffusa nel 94% dei casi.
Contraddizione solo apparente: l’economia italiana è fatta principalmente di un gran numero di piccole e medie imprese, in cui l’adeguamento è proceduto con un ritmo molto più lento, tanto che all’indomani dell’entrata in vigore, solo il 4% delle PMI dichiarava di aver completato l’adeguamento (fonte: Unolegal).
Le ragioni del ritardo sono diverse e tutte comprensibili: dall’oggettiva novità e (relativa) complessità della disciplina, alla difficoltà di percepire l’importanza del trattamento dei dati personali in attività che sembrano avere poco a che fare con essi, ai precedenti storici della normativa “sulla privacy”, per moltissimi soggetti nient’altro che una storia di adempimenti burocratici.
Il mondo dell’odontoiatria, come quello della medicina privata, è tradizionalmente più attento di altri alle esigenze di protezione della privacy: vuoi perché il trattamento dei dati personali confina con il “consenso informato” (di grande rilevanza pratica per i risvolti risarcitori e assicurativi), vuoi perché la riservatezza, nella professione medica, è parte dell’etica e della pratica professionale.
Le associazioni di categoria hanno svolto un ruolo meritorio nella diffusione delle buone pratiche in quest’area, aiutando gli studi aderenti ad affrontare gli adempimenti previsti dalle normative previgenti. Il GDPR, però, è quello che si dice un “game changer”, costringendo gli operatori a passare dalla logica fiscale dell’adempimento (realizzare una modulistica conforme, effettuare delle notificazioni) a quella aziendale del controllo di processo.
Non è un’operazione ovvia: molti soggetti, soprattutto software houses propongono oggi prodotti “per la privacy”, ovvero suites software che, alcune in modo più completo e valido, altre meno soddisfacente, forniscono strumenti per affrontare le nuove incombenze. Tuttavia, il software è solo un mezzo tecnico: il cambiamento non è costituito da esso, bensì dall’introduzione di una gestione più consapevole dei dati personali di pazienti e dipendenti dello studio.
Soprattutto, il cambiamento è già avvenuto: con questo nuovo strumento normativo la gestione della privacy è divenuta uno dei processi dello studio odontoiatrico, al pari di quelli di acquisto e di recupero crediti. Adeguarsi è quindi una necessità.
Questi argomenti saranno trattati al congresso “Trasformare lo studio odontoiatrico in un’impresa di successo_2” che si terra a Marina di Carrara dal 21 al 22 settembre 2018 con il "Data Protection Officer", ossia l’autore del presente articolo. Scarica QUI la brochure provvisoria.
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