Ha scatenato un vespaio la sentenza emessa dal Tribunale di Vicenza (n. 1686/2015) con cui statuisce che l’odontoiatra sia libero di realizzare direttamente nel proprio studio – e con l’ausilio della tecnologia CAD/CAM – corone in ceramica per i pazienti senza dichiarazione di conformità.
Il caso nasce proprio dal fatto per cui alcuni dentisti venivano sanzionati dai NAS con 7.200 euro per avere fabbricato dispositivi medici odontoiatrici su misura senza la dichiarazione richiesta. Per i Carabinieri, infatti, così prescriverebbe la normativa di riferimento, individuata nel D.Lgs. 24 febbraio 1997, n. 46 emendato con il D.lgs. 25.01.2010, n. 37 – Recepimento Direttiva 2007/47/CE – Attuazione della Direttiva 93/42/CEE concernente i dispositivi medici.
Il novum apparente – individuato dal Tribunale veneto – starebbe nella qualificazione della protesi ad opera dell’odontoiatra, non come un opus materiale vero e proprio, ma come il frutto di un’attività squisitamente intellettuale, dove l’attività diagnostica fa aggio anche sulla concreta realizzazione della corona. In tal modo, infatti, l’odontoiatra sfuggirebbe alla definizione di “fabbricante” che – secondo la definizione riportata nel Decreto 46/97 (art. 1 comma 2 lett. f) – è «la persona fisica o giuridica responsabile della progettazione, fabbricazione, di un dispositivo in vista dell’immissione in commercio a proprio nome». L’odontoiatra – che naturalmente non deve fare commercio a terzi delle corone da lui direttamente realizzate – non rientra quindi in tale definizione molto precisa.
Oltretutto anche il Ministero della Salute (già nel 2011) aveva espresso – per bocca di Marcella Marletta, direttore generale del Dipartimento dell’innovazione dell’epoca – come l’odontoiatra, stando al proprio cursus universitario contemplante anche la protesica, possa realizzare direttamente gli elementi dentari utilizzando i sistemi di fabbricazione in parola e come tali dispositivi non siano da considerarsi “su misura”. Essi infatti «possono rientrare nella definizione prevista dalla direttiva, che indica come i dispositivi fabbricati con metodi continui o in serie – fresando i blocchetti di materiale ceramico – successivamente debbano essere adattati per soddisfare una esigenza specifica di un medico» e quindi non siano da considerare dispositivi su misura.
Il clamore sollevato dalla sentenza, tuttavia, come si diceva all’inizio, è soltanto apparente. «Nihil sub sole novi.» Il Tribunale di merito non si è infatti soltanto rifatto alla stringente interpretazione rilasciata dal Ministero della Salute, ma la sentenza va letta in trasparenza come l’applicazione di merito di quell’indirizzo giurisprudenziale ancora più risalente – si vedano per tutte Cass. Civ. Sez. III, 23.04.2002 n. 10741, Sansavini Soc. Reale Mutua Assicur. In Giust. Civ. Mass. 2002, 1320 – per cui la prestazione dell’odontoiatra, anche quando si concreti nell’installazione di una protesi, non dia mai origine a un’opera materiale.
Anche in tal caso specifico, infatti, «assume rilievo assorbente l’attività, riservata al medico, di diagnosi della situazione del paziente, di scelta della terapia idonea, di successiva applicazione della protesi, di controllo della stessa. Una entità materiale, perciò, non è mai individuabile nell’opera del dentista, neanche con riferimento alla protesi, che può considerarsi un’opera materiale e autonoma solo in quanto oggetto della prestazione dell’odontotecnico». Con buona pace di quest'ultima categoria, quindi, va detto che gli odontoiatri potranno continuare a installare corone dentarie in ceramica, ma senza nessuna novità.
In merito all'articolo pubblicato su Dental Tribune del 20 ottobre dal titolo "La protesi fatta dal dentista? È frutto di attività ...
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