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La tipologia degli studi odontoiatrici, dal nostro osservatorio, si sta molto semplificando. Ci pensa la situazione economico-finanziaria e sociale, internazionale e nazionale. Delle tre grandi fasce in cui collocare gli studi, sopravvive quella più bassa, che si gioca i pazienti che non possono attendere i tempi dilatati dell’accesso al servizio pubblico o che non pensano alla patologia orale come a una malattia.
Vive bene quella alta, quella della qualità che mira all’eccellenza. Qui, l’afflusso di clientela è in crescita significativa e proviene dalla fascia di mezzo, alla quale la classe più alta sottrae in maniera definitiva il pacchetto clienti. Sempre qui, l’aumento della produttività è significativo e talvolta importante, anche a due cifre. La fascia realmente in crisi è (o era) quella di mezzo, quello della realtà monoprofessionale con uno o due giorni dell’igienista, dell’ortodontista ogni 15 giorni o tre settimane, di un collaboratore endodontista cinque o sei ore circa a settimana. Magari due o tre assistenti che, a rotazione o a caso, svolgono la funzione di segreteria1. È quella destinata in tempi medio-brevi a scomparire. Anche per motivi anagrafici, concentrando in modo maggiore in sé una popolazione odontoiatrica con età più elevata, e comunque superiore ai cinquant’anni. Professionisti la cui precedente esperienza relativamente facile non li ha allenati a immaginare o ad affrontare il cambiamento, condizione indispensabile per sopravvivere ora e riprendersi alla fine del periodo difficile. Non è il caso di richiamarsi al futurismo e a Marinetti, pensando alla crisi come a una grande scopa del mondo che fa pulizia, ma è sufficiente richiamarsi a Darwin e alla sua selezione della specie. Sopravvivono i più adatti. Gli altri rimangono nel tunnel, dove quella luce al fondo è sempre più lontana. Ma chi crede di potercela fare, perché si ritiene in possesso di professionalità adeguata, o ritiene di dovercela fare, perché ad esempio ha i figli che devono subentrare nell’attività, allora deve investire. Ed è questo il momento di farlo.
Investire sì, ma in che cosa? Innanzitutto nel proprio studio. Che significa poi scommettere e investire su di sé. Il proprio studio deve essere dotato di tutto quanto serve per esprimere al meglio la professionalità del titolare, la deve esaltare. Quindi, con tutte le attrezzature e le tecnologie più avanzate. Che naturalmente vanno mostrate e indicate ai pazienti, perché colgano il valore della qualità e facciano i confronti con le altre realtà che non le utilizzano. E con la formazione importante al corrispondente utilizzo da parte delle risorse umane di assistenza. Perché le RU formate prendono coscienza di sé, crescono in autostima, lavorano meglio, producono di più a pari condizioni e trasmettono la sensazione di serenità e qualità ai pazienti.
Se questo è un periodo in cui c’è in qualche studio una parziale flessione di accesso, quel tempo va impiegato per formare e studiare e per prepararsi alla fine del tunnel. Perché è comunque certo che il tunnel, se non ti siedi e lasci andare avanti gli altri, prima o poi finisce e se ne esce. E occorre essere preparati all’incognita che si troverà all’uscita.
Poi occorre investire in nuove tecnologie e in nuovi strumenti. Ciò non significa pensare a intasare le aziende odontoiatriche di elettronica in ogni dove. Nuove tecnologie e nuovi strumenti sono, appunto, strumenti e devono servire. Ben venga il nuovo, se mirato alla creazione della qualità che punta all’eccellenza. Ma la creazione di attrezzature e macchinari di nuova o futura generazione deve nascere dalla stretta e costante collaborazione tra chi ha la capacità tecnica di realizzarle e chi ogni giorno le sperimenta sul campo. Oppure, riflettendo sulla risposta a nuovi bisogni che intercetta tra i pazienti, va alla ricerca di tecnologie e strumenti che magari non trova perché nessuno li ha mai suggeriti al produttore.
Note
1. I liberi professionisti sono da valutare con particolare attenzione. La loro collocazione li pone, in teoria, tra coloro che non dovrebbero soffrire particolarmente in questo momento. Ma subiscono, per contro, una pesante selezione al loro interno, e ciò vale per tutte le aree professionali. Nella condizione socio-economica precedente, anche professionisti di media capacità avevano comunque un loro mercato a cui attingere, il che permetteva loro di mantenere un trend di vita tranquillo. Ora, sotto la spinta della minore disponibilità, tutti coloro che accedono all’attività dei professionisti (avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro, architetti, medici, dentisti ecc.) vogliono la qualità, vogliono il professionista di livello alto. Disposti anche a pagare di più – cosa sempre meno vera –, ma a fronte di risultati che durino nel tempo e che non richiedano, se non nella misura minore possibile, ulteriori interventi correttivi. Il nostro paese ha visto proliferare una pletora atipica di professionisti in quasi tutti i settori di specializzazione, tale da non avere confronti con quasi nessuno degli altri paesi europei. Ciò perché si mirava soprattutto a quelle professioni – pur disponendo di capacità medie – che garantivano una vita economicamente agiata o serena. Oggi si va alla selezione. I clienti si indirizzano verso la qualità e l’eccellenza: chi non è in questa fascia è destinato a scomparire. Per restare nel mondo odontoiatrico, in Italia il rapporto dentista-paziente è attorno a 1/800. Nella media europea è di circa 1/2000. È nelle cose che, in tempi medi, il nostro “parco dentisti” si dimezzi.
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