Il “profiling” per conoscere meglio il nostro interlocutore

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Il “profiling” per conoscere meglio il nostro interlocutore

Patrizia Biancucci

Patrizia Biancucci

lun. 23 settembre 2019

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Profiling, vale a dire delineare il profilo di chi abbiamo di fronte identificando dati personali circa le sue caratteristiche e le sue abitudini. Questo perché il corpo umano è la sintesi finale di una serie innumerevole di processi che, letti correttamente, possono rivelarsi un prezioso strumento, per meglio “interpretare” se stessi e per relazionarsi con gli altri. Sul corpo infatti, possono essere leggibili a chiari caratteri, personalità e vissuto di un dato soggetto, basta saper leggere e interpretare l’insieme di espressioni simboliche che si manifestano su di esso.

La comunicazione utilizza la semantica in maniera nettamente inferiore rispetto alle altre forme comunicative, tanto che solo in percentuali bassissime (7%), l’uomo usa la parola, che in ogni caso può essere contraffatta, distorta o mal compresa. Il corpo invece non mente, con la sua gestualità, la postura, i colori utilizzati, il modo di modulare la voce, la conformazione stessa del corpo, i tratti del volto e le sue espressioni. Dall’aspetto e dalle espressioni del volto possiamo infatti comprendere qualcosa in più riguardi il nostro interlocutore, migliorare la capacità di gestione delle dinamiche relazionali con gli altri e aumentare la potenzialità di saper “leggere” chi abbiamo di fronte.

Lo studio delle varie modalità comunicative e la loro riscoperta autentica come strumento utile alla conoscenza del proprio interlocutore, trovano una larga applicazione nelle scienze criminologiche. La decodificazione del linguaggio del corpo diventa quindi un prezioso alleato per la realizzazione di un profiling e per la ricostruzione del trascorso di un individuo, come pure un utile apporto in chiave preventiva. E comunque il profiling non è una scienza, ma un sistema basato sulla psicologia, sulla PNL e sulla sensibilità personale, che aiuta a capire come le persone decidono, come ragionano, quali stati d’animo ed emotivi hanno, utile per conoscere chi abbiamo di fronte anche se, in effetti, non lo conosciamo. Dalle scarpe che il nostro interlocutore indossa possiamo, per esempio, evincere molto della sua personalità, delle sue scelte e del suo lavoro. Possiamo, altresì, evincere qualcosa anche dal modo in cui gesticola, dalla cura o meno della persona, dai colori che ha scelto di indossare.

Ognuno di noi è più o meno capace di “profilare” gli altri: alcuni sono naturalmente portati a capire chi hanno di fronte, altri invece non sono in grado. Imparare a riconoscere le caratteristiche che possono essere utilizzate per il profiling è un’attitudine che può giovare alla vita quotidiana e lavorativa. Per capire meglio di cosa si tratta, facciamo qualche domanda a Cristina Brondoni, milanese, criminologa e giornalista, laureata in Lettere, in Criminologia, master in Criminologia forense, esperta di profiling, volto noto della televisione per la sua collaborazione con il generale Luciano Garofano. Come criminologa cura una rubrica sul mensile Armi&Balistica e il blog personale tutticrimini.com; da non perdere dunque la sua relazione dal titolo “Profiling applicato: la scrupolosa raccolta di informazioni e l’accuratezza della diagnosi per tracciare un profilo del paziente e tutelarsi da eventuali contenziosi futuri” al III Congresso Management dello studio e della professione odontoiatrica “La diagnosi come chiave di successo dello studio odontoiatrico”, 27-28 settembre 2019 a Marina di Carrara.

Dr.ssa Brondoni, cos’è il profiling? Una scienza, una tecnica, una metodica, una pratica?
Il profiling è un metodo basato sulla statistica e, per questo motivo, è lontano dall’essere una scienza. Ma può dare risultati, se conosciuto e utilizzato bene. Innanzitutto è necessario fare i conti con la fantasia che, naturalmente, esula dalla statistica. Un esempio: posso essere vegetariana e attenta all’ambiente. Che auto deciderò di acquistare? Probabilmente qualcosa di nuovo, magari con doppia alimentazione: benzina ed elettrica. E che dire di dove decido di andare a fare la spesa? Probabile, dato che sono vegetariana e attenta all’ambiente (al punto da acquistare un’auto ecologica), che opti per un supermercato che ha abolito la plastica, che ha solo prodotti a chilometro zero e dove posso acquistare detersivi biologici direttamente dal dispenser. Partendo da un paio di informazioni corrette e verificabili (vegetariana/attenta all’ambiente) posso inferire comportamenti che non conosco e informazioni che non ho. Ma la fantasia, l’eccezione alla regola, l’incoerenza sono sempre lì in attesa: una persona vegetariana, attenta all’ambiente, con l’auto elettrica e disposta a spendere di più per una spesa sostenibile, fuma? Probabilmente no. Ma se fumasse non ci sarebbe da stupirsi: tutti noi siamo incoerenti. Alcuni in modo esagerato, altri solo accennato. Questo per dire, insomma, che il profiling serve, ma è necessario imparare fin da subito che la fantasia umana è sconfinata e, per sua natura, esula dalla statistica.

Nel profiling convogliano conoscenze di psicologia, comunicazione verbale e non verbale attinenti alla PNL, sensibilità personale?
Molte cose convogliano nel profiling. Come accennato, sicuramente la statistica. Il profiling nasce per prendere i serial killer: i primi investigatori dell’FBI che parlarono di profiling si basarono sui dati che, fino a quel momento, erano riusciti a collezionare. Innanzitutto che i serial killer sono, nella quasi totalità dei casi, maschi bianchi di età compresa tra i 25 e i 45 anni. Sembra poco, ma in realtà viene esclusa una fetta piuttosto ampia di popolazione. Partendo da questi numeri, il profiling cerca di restringere il campo. Anche se non siamo a caccia di un serial killer, la statistica è dalla nostra parte ed è necessario imparare a leggere i numeri: contestualizzarli, capirli, interpretarli. Per poi usarli. Il linguaggio verbale e non verbale è un’altra parte importante. Tutto il resto, sensibilità personale inclusa, è meglio tenerlo a bada: si rischia, infatti, di “sporcare” i dati con le sensazioni. Un po’ come chi, davanti al malvivente visto in tv, esclama: “Ma si vede dalla faccia che è colpevole!” dando di fatto ragione all’illustre Cesare Lombroso che fece parecchie cose molto giuste, ma, purtroppo per lui e per noi, non trovò dove si annidasse il male, nonostante lo studio frenetico di fossette occipitali analizzate spaccando crani di carcerati (fortunatamente già morti!).

Dr.ssa Brondoni, quanto incidono i nostri schemi mentali rigidi, vale a dire i nostri pregiudizi, sulla capacità di “profilare” gli altri?
Dipende da come siamo: siamo capaci di mettere da parti i nostri pregiudizi? Siamo disposti ad avere risposte che potrebbero non piacerci? E, soprattutto, conosciamo noi stessi? Perché per profilare gli altri è necessario sapere chi siamo. Quali sono i nostri difetti, le nostre paure, le nostre ansie. Se siamo i primi a nasconderci dietro il dito del politicamente corretto che ci vuole in un certo modo, siamo destinati a fare poca strada. Ma se invece siamo disposti a gettare la maschera, allora, probabilmente, siamo già un passo oltre e possiamo iniziare a pensare di fare profiling.

Ritiene che tracciare un profilo del paziente da parte dell’odontoiatra si possa considerare una sorta di prediagnosi?
No. Avere un’idea di massima del paziente è utile per lavorare meglio. Ma basarsi sul profiling per orientare una prediagnosi è un rischio. Potrebbe trattarsi della vegetariana con l’auto elettrica e il supermercato bio che fuma un pacchetto al giorno.

Su gentile concessione di www.managementodontoiatrico.it.

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