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Covid-19 e relazione con i pazienti: cosa cambia per i titolari di studio

Patrizia Biancucci

Patrizia Biancucci

ven. 22 maggio 2020

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Sebbene siamo appena entrati nella cosiddetta Fase 2, la progressiva ripresa dell’attività ordinaria impone agli odontoiatri una radicale riorganizzazione dello studio, che comprende non solo le rigide procedure anti contagio, l’utilizzo massivo di DPI, il timing degli accessi con preliminare triage telefonico e tanto altro, ma anche un profondo riesame della propria identità professionale e del proprio ruolo manageriale come titolare di studio/azienda, vale a dire la capacità di appropriarsi di elementi extraclinici utili ad espletare al meglio le competenze cliniche in un contesto sempre più aziendale e a raggiungere obiettivi precisi.

Michele Rossini è un odontoiatra che ha coniugato l’attività clinica all’avanguardia, tra cui la realizzazione del primo studio completamente digitale nel 2009, con quella di formatore attraverso corsi di organizzazione aziendale, management, marketing, comunicazione e sviluppo di tecnologie digitali. Di lui colpisce, nell’intervista che abbiamo raccolto, la volontà di non sentirsi in balìa degli eventi, ma al contrario diventare protagonista di un cambiamento inevitabile che, attraverso la fatidica frase “gestisci il presente mentre progetti il futuro”, ci permetterà di reinventarci, di migliorare, di cogliere tutte le opportunità che, bombardati come siamo da messaggi negativi, rischiamo di non intravedere.

In tempo di Covid e soprattutto all’inizio della Fase 2, c’è la riscoperta della relazione con i pazienti: nel concreto chi ne è l’artefice? Solo l’odontoiatra?
Noi, in quanto clinici, siamo solo una parte del processo che vede il paziente percepire un bisogno, decidere di venire in studio e affidarsi alle nostre cure in maniera continuativa. Prima di noi il paziente incontra la nostra segreteria di front office, le assistenti e dopo di noi incontrerà in maniera ricorrente l’igienista e di nuovo la segreteria di back office. Adesso non importa descrivere le varie mansioni di tutte queste persone, quello che è importante è comprendere che tutte devono perseguire il medesimo obiettivo in maniera chiara, coordinata e coerente. Pensate ad uno studio che ha sempre avuto, come parte della sua proposta di salute, l’idea di mantenere una relazione nutriente e utile con i suoi pazienti. Questo obiettivo avrà da sempre previsto una serie di azioni a cascata in grado di portare alla sua piena realizzazione. Proviamo a pensare di cambiare obiettivo in questo particolare momento e mettere, ad esempio, come principale scopo quello di trasmettere sicurezza nella relazione. L’aver cambiato obiettivo porterà a modificare il modo di fare, le parole usate e parte delle scelte che verranno fatte nella relazione con i pazienti e questo nuovo schema dovrà essere appannaggio di tutte le persone che, a vario titolo, collaborano con lo studio.

Al di là di teorie utili all’attività professionale, sappiamo che dobbiamo stare attenti all’aspetto economico/finanziario: cosa consiglia per il controllo del cosiddetto flusso di cassa che troppo spesso sfugge al clinico?
Partiamo dal fatto che il fatturato è pura vanità. La cassa al contrario è realtà. Spesso il dentista fa fatica ad avere ben chiaro quale sia il punto di pareggio della sua azienda/studio. Un errore comune è quello di calcolare questo punto omettendo di inserire il proprio onorario nel conto dei costi. In questo modo non solo non diamo valore al nostro lavoro ma trucchiamo senza volerlo la nostra situazione finanziaria facendo quadrare conti che nella realtà non tornano. Il problema è quando lo scopriamo in tempo di crisi e non siamo pronti a cogliere le contromosse adeguate. Altro aspetto è dato dal considerare il fatturato come l’obiettivo mentre, a mio avviso, dovrebbe essere la semplice e diretta conseguenza del nostro operato che segue obiettivi ben più elevati e soddisfacenti. Io uso il termine di “equivalente economico” così come vendere una bottiglia di vino è l’equivalente del lungo processo che va dal piantare un tralcio di vite, al curarlo, proteggerlo con passione e dedizione, vendemmiare, pigiare, imbottigliare, maturare. Personalmente ritengo, pur non essendomi mai vergognato del flusso di cassa che produce il mio lavoro, che avere come obiettivo della mia professione il fatturato sia davvero un po’ troppo riduttivo se relazionato alla complessità della professione odontoiatrica.

Dott. Rossini, la sua frase “gestisci il presente mentre progetti il futuro” suona come un imperativo categorico per la professione odontoiatrica, soprattutto in questa drammatica fase di pandemia da Covid. Quali consigli pratici si sente di dare a quei colleghi che non vedono la luce in fondo al tunnel?
Dobbiamo più che mai sfruttare questo tempo in cui la nostra attività è fortemente ridotta per formulare un nostro piano d’azione che preveda due momenti fondamentali: il primo che ci consenta di affrontare il breve termine, riorganizzando la struttura dei costi, definendo il nuovo punto di pareggio, cercando di gestire e procrastinare le spese fisse, riorganizzando l’attività per poter operare in sicurezza e per essere pronti ad accogliere le linee guida fornite dalle associazioni adattandole alla nostra situazione particolare. Il secondo momento sarà quello che ci permette di avere una visione più ampia del nostro lavoro e del contesto che ci troveremo ad affrontare. Siamo di fronte ad una possibilità unica che difficilmente ci verrà offerta un’altra volta: abbiamo la possibilità di rivedere criticamente il nostro lavoro misurando e analizzando ciò che funziona rendendolo strutturale, mentre ciò che non funziona va modificato e rimodulato così da renderlo utile per la nostra impresa. In questo contesto il consiglio che potrei dare è: osare, vale a dire provare ad applicare soluzioni non convenzionali a problemi fuori dall’ordinario. E chissà, potrebbe anche piacerci!

Ritiene che il ruolo imprenditoriale del titolare di studio odontoiatrico possa penalizzare il ruolo professionale del clinico?
Da molto tempo sto rivedendo la relazione tra odontoiatria clinica ed extraclinica. Sembrano due concetti e campi nettamente distinti e paralleli mentre la realtà ci racconta un’altra storia fatta d’interrelazione e complementarietà. Potremmo dire due facce della stessa medaglia. In questo nuovo mondo, complesso e articolato, la clinica utilizza e trae beneficio dall’organizzazione in tutti i suoi aspetti. Se parliamo di una singola prestazione questo intreccio è più sfumato e meno evidente, ma se osservassimo il nostro lavoro da un punto di vista più generale noteremmo che la qualità della nostra prestazione clinica e del servizio che offriamo al paziente trae moltissimi vantaggi dalla cura degli aspetti imprenditoriali inerenti la comunicazione, la valorizzazione delle persone fino all’organizzazione e al corretto utilizzo delle informazioni che possiamo ricavare dall’analisi di come svolgiamo il nostro lavoro.

Dott. Rossini, tra i commerciali la parola d’ordine è “chiudere la vendita”: anche il dentista “vende” qualcosa?
In questo caso, a mio parere, il fraintendimento sta nel pensare che la vendita riguardi esclusivamente l’ambito dei beni di consumo o di servizi generali, soprattutto non essenziali e comunque lontani dal nobile concetto di salute. La vendita non è altro che un’attività connaturata alla natura umana. Quando due persone interagiscono, una vendita andrà sempre in porto. La nostra vita relazionale è una continua vendita regolata dalla capacità innata di persuadere gli uni e gli altri dove la persuasione è l’attività che porta l’altro ad apprezzare il nostro punto di vista e viceversa. La vendita, anche nella nostra professione, è il primo lavoro. La nostra attività procede solo dopo che abbiamo venduto il progetto di salute che abbiamo per un paziente piuttosto che lasciare che il paziente stesso venda a noi la sua idea di non occuparsi della propria salute o di farlo in maniera approssimativa.

Secondo lei come va considerato il destinatario delle prestazioni odontoiatriche: paziente o cliente?
Se vedessimo la questione in termini di schema a cerchi, metterei all’esterno il cerchio persone che contiene il cerchio dei pazienti che a sua volta contiene il cerchio dei clienti. Nell’antica Roma, il cliente, pur godendo dello stato di libertà, si trovava tuttavia in rapporto di dipendenza da un cittadino, dal quale riceveva protezione. Forse noi medici siamo proprio quelle persone che, nel campo della salute, sono in grado di offrire protezione ad altre persone (clienti) comunque libere di scegliere. Non sembra meno spregiativo il termine cliente visto così? Poi quando questa persona accetta liberamente di mettere la sua salute sotto la nostra “protezione” allora diventa automaticamente un paziente.

Marketing, una parola demonizzata dai dentisti che professano etica a deontologia: è possibile conciliare i due aspetti nello studio/impresa?
Il marketing è un’enorme famiglia di strumenti a disposizione di chi, avendo scelto di occuparsi di un qualsiasi bisogno della popolazione, ha la necessità di comunicare alle persone cosa è in grado di fare per essere utile. Nel campo della salute ci sono a mio avviso strumenti di marketing utili, meno utili e dannosi. Non possiamo adesso metterci a elencare tutti gli strumenti e le loro peculiarità, mi limiterò a dire cosa secondo me non è marketing, o meglio qual è il grande nemico che si nasconde dietro tante proposte che sento in giro: l’errore è quello di usare il marketing per comunicare a tutti tranne che ai tuoi pazienti. Per intenderci non voglio giudicare il cartello pubblicitario sulla statale vicino al proprio studio ma mi chiedo che utilità possa avere questo tipo di comunicazione nel momento in cui si rivolge a persone che non mi conoscono, mentre l’unica cosa che a me interessa è far sapere ai miei pazienti che io posso essere la migliore e possibilmente unica soluzione nel momento in cui percepiscono di avere un bisogno che riguarda la salute della loro bocca.

Dott. Rossini, tra i punti nevralgici di ogni azienda, compreso lo studio dentistico, c’è la gestione delle risorse umane. Ha una ricetta per valorizzare i membri del team?
Ci sono tre cose che un titolare di studio non può delegare (tutto il resto è assolutamente gestibile con una corretta delega di responsabilità): la strategia, il controllo della cassa e la valorizzazione delle persone. Perché le persone non si valorizzano da sole ed è nostra precisa responsabilità occuparcene. Avere delle persone che danno il 102% della loro energia per perseguire gli obiettivi dello studio non è una cosa scontata e non può essere ottenuta a suon di incentivi economici. Bisogna mettere a disposizione un sogno, un grande obiettivo nel quale le persone possano riconoscersi e per il quale possano lavorare con passione. Tutti abbiamo bisogno di sentirci utili e di sentirci parte di qualcosa di grande da realizzare. La chiave fondamentale è trovare il giusto equilibrio tra la realizzazione del “sogno aziendale” e la realizzazione del “sogno personale” di tutti quelli che lavorano in studio con noi. Ti aiuto dando tutto me stesso, perché così facendo tu mi aiuterai a realizzare lo scopo più grande della mia vita lavorativa.

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