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Cacciato dalla porta lo spesometro ritorna (peggio!)… dalla finestra

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A. Piccaluga

A. Piccaluga

lun. 21 novembre 2016

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Il rapporto tra istituzioni e contribuente, in Italia, non è mai stato caratterizzato da stima e collaborazione reciproche. Tutt’altro. Ancor più difficile è, da sempre, gestire il rapporto con equilibrio per il contribuente che riveste al contempo anche il ruolo di professionista. Ed in quanto tale è in qualche misura anche un tramite tra i suoi concittadini e la Pubblica Amministrazione.

D’altro canto, l’Ordine professionale è un “ente ausiliario dello Stato”. Ma mai si era arrivati a questo degrado dei ruoli e disaffezione professionale. Novità normative che si succedono continuamente a fronte di uno Stato che ne definisce sfera di applicazione e relativi strumenti all’ultimo minuto. Governi che smentiscono metodicamente quanto disposto dai predecessori. Proroghe promosse maldestramente per sopperire alle asimmetrie informative generate dagli uffici istituzionali. Scadenze perentorie che l’amministrazione stessa non rispetta, incertezza sugli adempimenti... I professionisti paiono oramai destinati a divenire impiegati dello Stato, preservando però rischi ed oneri di un professionista. Il tutto a discapito della professionalità.

Si moltiplicano casi emblematici di questa gestione “delirante”. Basti pensare al processo telematico, ossia all’obbligo di svolgere il processo attraverso strumenti digitali e, in particolare, tramite il deposito telematico degli atti di causa. L’iniziativa in sé pareva un’apprezzabile forma di modernizzazione dei Tribunali. Macché. Si è assistito all’incredibile condanna (ex art. 96, c. 3, cpc) inflitta da quello di Milano, (Sentenza 534 del 15/1/2015), a una parte perché l’avvocato non aveva depositato delle copie cartacee “di cortesia” oltre a quelle digitali previste dalla norma. Il che dà la misura del contesto nel quale si opera.
Le polemiche sono note oramai da tempo e se ne conoscono le conseguenze. Secondo il rapporto Trentin (c.d. “Vita da professionisti”) due professionisti su tre soffrono di stress, ansia, depressione, insonnia ed altre patologie correlate al lavoro libero professionale. La sindrome da “burnout”, fino a ieri semisconosciuta, oggi miete vittime con una frequenza allarmante. Ma senza addentrarci in questi dettagli, e volerci comunque soffermare solo sui casi più eclatanti, è sufficiente osservare il quotidiano: gli Enti previdenziali ed assistenziali sembrano aver quasi azzerato il proprio servizio di consulenza e demandano oramai le incombenze a consulenti del lavoro o patronati, che devono così provvedere in autoformazione e a titolo pressoché gratuito.

A chi non è capitato, dopo ore di attesa presso l’Inps, di sentirsi replicare nervosamente “Si rivolga ad un patronato”? Ragionamento analogo per l’amministrazione fiscale, che pare oramai concentrata esclusivamente sull’attività di controllo e riscossione avendo demandato su commercialisti e contribuenti una quantità di incombenze astruse, spesso ingiustificabili, mirate a recuperare più volte e nei modi più disparati i medesimi dati.
Qui casca l’asino. Quello che porta a rivisitare il tema è il fatto che le promesse di una semplificazione improntata al dialogo stato-contribuente non solo sono state disattese, ma finanche mortificate. Una delle incombenze piovute sui professionisti del settore sanitario nell’ultimo anno, e sui loro consulenti, è stata infatti la STS, ossia l'obbligo per dentisti e medici di inviare attraverso il Sistema tessera Sanitaria i dati sulle spese sanitarie di ogni paziente: duplicazione di adempimenti a carico dei professionisti costretti ad inviarli sia attraverso lo spesometro che il StS. Il che spinse le Associazioni di categoria ad un infruttuoso ricorso al Tar.

Quest’anno si sarebbe dovuto replicare con la tacita promessa che il Sistema TS avrebbe di fatto seppellito lo “spesometro” in quanto questa incombenza era oramai destinata a sparire. Infatti sono stati di parola. Lo spesometro annuale non c’è più. Ha lasciato spazio alla nuova “Comunicazione dati trimestrale” che ingolferà in maniera indescrivibile i professionisti di mezza Italia a partire dal 2017. Sostanzialmente uno spesometro ogni tre mesi, incomprensibile replica di quell’invio “clienti e fornitori” già esistente in passato, abrogato per l’inutilità di produrre una così vasta mole di dati in tempi tanto stretti. Nessuna semplificazione insomma, ma più obblighi e maggiori costi. L’irritazione è profonda. I commercialisti per primi l’hanno espressa in una lunga lettera al Ministro Padoan con cui hanno esternato il «profondo rammarico” per quello che è solamente “un appesantimento di tipo routinario e a bassissimo valore aggiunto del lavoro del professionista. (...) più pesante dal punto di vista amministrativo e, di conseguenza economico”, come ebbe a definirla di recente sul Fatto Quotidiano Davide Bertolli, dottore commercialista.

A che serve allora? I più maligni potrebbero pensare “a far cassa”. Questo tipo di elaborazioni ha infatti una percentuale di errore fisiologica, data proprio dalla grossa mole di dati da caricare, che si aggira intorno al cinque o sei per cento. Per chi sbaglia, le sanzioni sono pesantissime: da un minimo di 25 per ogni fattura trascritta erroneamente, sino a un massimo di 50 mila euro in caso di dichiarazione incompleta o infedele. D’ora in poi... guai quindi a ricevere o fare una fattura in ritardo, a dimenticarsi di registrarla tempestivamente, a non rileggere più e più volte quanto si dà al commercialista e quanto restituisce, a non correre alla fine di ogni trimestre dal proprio consulente. Una certa percentuale di errori è fisiologica. Potenzialmente ne bastano pochi per azzerarsi il conto in banca...

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