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A tempo determinato, indeterminato o partita Iva? Spunti di riflessione emersi a Bologna da un convegno sul Jobs Act

Avv. A. Marinelli, Studio legale Stefanelli
A. Marinelli

A. Marinelli

mar. 5 aprile 2016

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Il 19 marzo su iniziativa dello Studio legale Stefanelli specializzato in Diritto sanitario, si è svolto a Bologna un Convegno sui vari aspetti del Jobs Act. Con l’avv. Andrea Marinelli ne abbiamo tratto alcuni spunti di riflessione.

Sull'impatto del Jobs Act è intervenuto l’indiscusso “padre” della Riforma del mercato del lavoro da ultimo approvata, ossia Filippo Taddei, docente alla John Hopkins University di Bologna, il quale si è soffermato sulle ragioni che hanno portato alla necessità di una evoluzione della disciplina prima esistente fornendo alcuni momenti di riflessione sul DDL relativo al cd. Jobs Act degli autonomi.

Sono stati dapprima passati in rassegna i contratti a termine con l'innovazione apportata già dal 2014 con due unici obblighi rimasti in capo ai datori di lavoro per l'utilizzo di tale tipo di contratto, ovvero: non superare le 5 proroghe e non eccedere i 36 mesi di durata del rapporto con lo stesso lavoratore. In entrambi i casi la sanzione, in caso di violazione, sarà la conseguente trasformazione del contratto in un rapporto a tempo pieno ed indeterminato.

Grande attenzione a quella che, a torto o a ragione, viene considerata la vera “rivoluzione” della riforma, il cd. “contratto a tutele crescenti”. Dopo l’approvazione del D.Lgs.81/2015 chi era già all’interno del mercato del lavoro non avrà probabilmente notato grandi differenze, mentre chi deve ancora entrarci oppure chi ha cambiato lavoro, senz’altro si è reso conto che le differenze sono, in effetti, sostanziali.

Il lavoratore dipendente a tempo indeterminato assunto da molto tempo non subisce infatti alcun cambiamento nell’ipotesi di licenziamento, vedendosi applicare le tutele previste dalla cd. Riforma Fornero (tutt’oggi pienamente in vigore). Ma chi diversamente viene assunto dopo il 7 marzo del 2015 godrà di una tutela differente. Nell’ipotesi di licenziamento illegittimo, infatti, non è più previsto il reintegro, ma esclusivamente il risarcimento economico, commisurato all’anzianità di servizio e pari a 2 mensilità per ogni anno lavorato, con un minimo di 4 ed un massimo di 24 dell’ultima retribuzione percepita.

Si è poi lungamente discusso della nuova possibilità concessa ai datori di lavoro d’offrire in via transattiva – e senza esborsi fiscali o previdenziali – una somma pari ad una mensilità per ogni annualità di lavoro svolta. Il prof. Taddei ha indotto a riflettere sulle modifiche apportate dal Jobs Act anche per i lavoratori autonomi. Occorre infatti ripensare in maniera attenta a come regolare i rapporti di collaborazione professionale, alla luce delle notevoli differenze rispetto al passato, quando le strutture pensavano che “tutto fosse lecito”, attesa la scarsa propensione al contenzioso anche da parte dei giovani collaboratori.

Oggi invece sembra essere più opportuno regolare, all'inizio del rapporto, la collaborazione mediante contratto che precisi in maniera rigorosa ogni aspetto dell'attività che verrà svolta dal nuovo collaboratore. In particolare è stato sottolineato come l'art. 52 del D.Lgs.81/2015, sembrerebbe comportare una trasformazione quasi automatica del rapporto di lavoro autonomo, in quello subordinato a tempo pieno ed indeterminato, quando non vengano soddisfatte alcune esigenze necessarie perché la collaborazione “tenga”.

Perché infatti la collaborazione con il titolare della partita Iva sia genuina, secondo la nuova normativa, è necessario che siano escluse: l'esclusività e personalità della prestazione, la continuità del rapporto e che le modalità della prestazione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e luoghi di lavoro. I primi due punti e cioè la continuità nel tempo della collaborazione e l'esclusività a favore della medesima struttura della prestazione resa dal consulente sono indici di facile comprensione. Più complesso, anche per gli operatori del diritto, è la modalità di esecuzione della prestazione.

Se le modalità operative dovessero rivelarsi particolarmente stringenti, il collaboratore ben potrebbe accedere ad una presunzione di subordinazione in danno al proprio “datore di lavoro”. ll collaboratore, cioè, a seguito di regolare richiesta giudiziale può chiedere di essere inquadrato alla stregua di un normale dipendente in capo alla struttura (o al singolo odontoiatra titolare) con oneri economici a carico aziendale non indifferenti, soprattutto a livello di differenze retributive (pagamento della tredicesima, quattordicesima, ferie, TFR ecc).

Accortosi della “svista”, il legislatore sembrerebbe aver posto rimedio con il disegno di legge di cui si faceva riferimento innanzi, e tuttora in corso di approvazione, che sembrerebbe (il condizionale è d'obbligo) ridurre la portata della presunzione di subordinazione di cui abbiamo detto prima, predisponendo nuove modalità per individuare un rapporto di lavoro dipendente, da quello ben diverso di natura autonoma.

Ma, questo un punto su cui occorrerà tornare, sembrerebbe che a tali sanzioni “meno stringenti” possano soggiacere anche gli iscritti agli Albi (ad esempio medici ed odontoiatri), precedentemente esclusi da ogni presunzione di lavoro dipendente.

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