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Rubrica Figli d’arte: intervista al prof. Davide Farronato

Da sinistra: Davide Farronato e Giampietro Farronato.

mer. 26 giugno 2024

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La rubrica Figli d’Arte nasce con l’intento di mostrare i percorsi professionali seguiti dai “figli” di prestigiosi professionisti, donne e uomini di scienza, che hanno dedicato la loro vita alla professione, all’approccio clinico e/o all’insegnamento della medicina odontoiatrica.

In questo numero editoriale abbiamo intervistato il prof. Davide Farronato, figlio del prof. Giampietro Farronato, professore di prima fascia dal 1997 al 2001 presso Università degli Studi di Bari e dal 2001 al 2022 presso l’Università degli Studi di Milano; direttore del dipartimento di Odontoiatria e Chirurgia dal 1998 al 2001 presso l’Università degli Studi di Milano; presidente del Corso di Laurea in Igiene Dentale (CLID) dal 2002 al 2014 presso Università degli Studi di Milano; presidente del Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria dal 2014 al 2017 presso l’Università degli Studi di Milano; direttore della Scuola di Specializzazione in Ortognatodonzia dal 2008 al 2014 e dal 2017 al 2020 presso l’Università degli Studi di Milano; presidente della Società Italiana di Ortodonzia (SIDO) nel 2015; presidente incaricato dell’Organizzazione del Congresso Nazionale Docenti Universitari di Discipline Odontostomatologiche nell’anno 2020 e 2021; in quiescenza per raggiunti limiti di età dal 2022.

Ricordo ancora, terzo anno di Corso di Laurea, beato anonimo tra anonimi, primo giorno del corso di Ortodonzia. Era ancora il periodo dei ricorsisti e l’aula era piuttosto affollata. Tra molti avevo legato con un gruppetto, brave persone, capaci a studiare e a divertirsi in modo semplice, stavo proprio bene. Ecco che entra mio papà, si presenta con un sorriso pacifico e mezza classe gira il capo verso la zona anteriore destra dell’aula, ecco fatto! Fine della pacchia. Non avevo mai parlato della mia famiglia, generazioni di dentisti tra genitori, zii, cugini e parenti ancor più lontani. Fin da piccolo sono cresciuto tra il profumo dell’eugenolo e il ronzio delle turbine, giocando a bagnare le assistenti con la pistola d’acqua e modellando palline rimbalzanti con i siliconi profumati. Era un ambiente familiare, nulla di strano per me. Non ho sempre desiderato fare l’Odontoiatra, forse perché ogni zia, con un buffetto sulla guancia, ostentava simpatia nel predire una carriera nel campo odontoiatrico. Solo più avanti ho capito che mi piaceva, dai primi laboratori, dai primi pazienti, e tantissimo anche. Fino ad allora mi sono semplicemente fidato dei consigli dei miei genitori e del mio istinto. Odontoiatria contemplava tutti gli aspetti che mi attraevano: micro-chirurgia, ingegneria e psicologia. Tutti in uno, perfetto! 

Ma in quel terzo anno molte cose sono cambiate per sempre, come se si generassero due fazioni, una ostica, l’altra guardinga, meno delle persone contate da una mano, tra un centinaio, rimanevano semplicemente spontanee con me, indipendente dal mio cognome. Era importante legare coi compagni, oltre a esplorare una dimensione sociale gratificante vi era un preziosissimo scambio di appunti, di sbobinature e gruppi di studio. Da allora ho imparato a mantenere profili anonimi e a non prendermela per coloro che si immaginavano che essere “figlio di” significasse avere solo porte aperte e nessuna difficoltà. Dovevo addirittura sostenere gli esami due volte, la seconda in modo più o meno esplicito poiché i miei compagni bramavano la dimostrazione che i voti fossero commisurati. Beh, questo mi ha fatto reagire positivamente e ha promosso un senso competitivo e di fairplay. Progressivamente scoprivo sempre più che le materie cliniche mi affascinavano e studiare ciò che piace mette di certo una marcia in più. 

Mi sono laureato col massimo dei voti, sudando come tutti, e probabilmente anche più per il fatto che rimanevo elemento di attenzione speciale da parte dei colleghi studenti, soprattutto da coloro che poco mi conoscevano. L’inizio in studio è stato stupendo, ancora oggi ricordo i miei primi pazienti, cosa ho fatto e cosa ci siamo detti… nel tempo le memorie perdono di luminosità e sedimentano un bistrò emozionale, ma i primi, quelli no, quelli rimangono ancorati a fatti nitidi e miliari. 

La nuova sfida era decidere in cosa specializzarmi: una comoda strada in Ortognatodonzia, col maestro in casa ma con un’insuperabile concorrenza, o altro, che mi definisse in modo più distintivo e indipendente, verso aspetti odontoiatrici non familiari? Per chi mi conosce, sa che non adoro le strade in discesa, e poi ero molto attratto dalla chirurgia implantare. Ero cosciente che in studio il core-business fosse la materia di mio padre, e che la strada sarebbe stata in salita, ma ero troppo attratto dall’idea di potermi svincolare gnoseologicamente da una comfort-zone, o, semplicemente, mi piaceva di più.

Di lì in poi, la più grande fortuna, è stata quella di trovare un maestro, esigentissimo, preparatissimo, severo, finalmente noncurante del mio cognome. Ero entrato in un reparto fantastico, vigeva un regime militarizzato tra generale, comandante, tenenti e sottotenenti. Io, matricola, ho apprezzato il lavoro duro e le continue sfide. Tosto lo è stato di certo, ma ho assorbito attivamente e entropicamente la professione, l’arte, la tecnica e la scienza: in ogni secondo di quei dieci anni, in un reparto guidato magistralmente, con colleghi da cui potevi solo che imparare. Finalmente ero semplicemente Davide. Di lì in poi, con la guida di maestri e forte dei preziosissimi consigli di mio papà, ho avuto la fantastica opportunità, per fato, di iniziare a costruire individualmente il mio profilo, distinguendomi nell’altro Farronato. In un ambiente, soprattutto all’estero, dove nessuno conosceva il mio cognome, né le mie origini. 

Per molti essere “figlio di” equivale al secondo film di uno di grande successo, spesso scadente e privo di originalità. Personalmente l’ho trovato complesso: tra pregiudizi e assunti, rimani un diverso. Ma esiste anche un lato fondamentale: l’ispirazione! Mi sono addormentato lungo tutta la mia infanzia sentendo i ticchettii delle diapositive, che di notte mio papà ordinava sui carosel, per preparare lezioni e conferenze. C’era sempre qualche foglio con disegnata una cefalometria da qualche parte per casa e quell’ambiente, lo studio, era un ambiente semplicemente domestico, dove una professione così familiare, mi ha fatto innamorare. Ne è un po’ gelosa mia moglie, ma le sono grato, poiché mi incoraggia lo stesso e mi supporta negli impegni, spesso gravosi. 

Il più grande valore di esse “figlio di” è di avere affianco qualcuno che ti vede, ti com- prende, ti guida e ti trasmette l’amore della professione. La mia più grande soddisfazione? In giro per l’Italia mi chiedono sempre se sono il figlio di Farronato Giampietro. Adesso, quando mio papà relaziona all’estero, gli chie- dono se è il papà di Farronato Davide, e lui ri- sponde orgoglioso, sì! Grazie Papà.

Nota editoriale:

Prof. Farronato Davide (DDs, PhD, PD, AP) 
Laureato in Odontoiatria con il massimo dei voti e lode a Milano, è dottorato di ricerca in “Tecniche Innovative in Implantologia Orale e Riabilitazione Implantare Protesica” e specializzato in chirurgia orale con lode sotto la guida del prof. Maiorana. Membro attivo della IAO (Accademia Italiana di Osteointegrazione), del MINEC (MegaGen International Network of Education and Clinical Research), socio fondatore della SISCOO (Società Italiana Specialisti in Chirurgia Orale). È professore associato presso l’Università dell’Insubria, Italia, presidente del corso di laurea in Igiene Dentale e direttore del centro di ricerca ITEB (Centro di Tecnologie Innovative e Biomateriali Ingegnerizzati). È progettista di impianti per molteplici aziende e il suo lavoro scientifico principale è finalizzato alla comprensione delle variabili che influenzano la stabilità dei tessuti perimplantari nel lungo termine.

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