Stanley M. Bergman, CEO di Henry Schein, in una recente intervista a Dental Tribune International, ha detto che «il futuro è digitale» e che tutto ciò che può passare al digitale lo farà, sottolineando che «non si tratta di comprendere se, ma quando».
Al dottor Giuseppe Luongo, presidente della Digital Dentistry Society (DDS), Dental Tribune ha chiesto se sia innanzitutto d’accordo con tali affermazioni.
Sono assolutamente d’accordo. In molte delle attività quotidiane direi che già il presente è “digitale”. Noi della DDS ne siamo stati talmente convinti da aver sentito la necessità di fondare, qualche anno fa, una società scientifica che avesse come parte primaria della propria mission la corretta diffusione delle tecnologie digitali in odontoiatria.
A quando si può far risalire esattamente questa idea di avere una nuova società dedicata all’odontoiatria digitale?
Era il 2014, Zurigo. Al termine di uno dei tanti meeting, discutevamo con altri amici su quale sarebbe stato, dopo l’implantologia, l’argomento che avrebbe tenuto banco nel prossimo decennio. Tutti concordavamo che le tecnologie digitali avrebbero costituito la migliore attrattiva, ma eravamo anche d’accordo che esistesse solo una modesta evidenza scientifica rispetto al fatto che il digitale fosse più affidabile delle procedure convenzionali. Da questa considerazione nacque l’idea di fondare la DDS. Pochi mesi dopo eravamo dal notaio e da quel momento c’è stata una continua adesione al progetto. A tre anni di distanza la DDS è presente in tutti i continenti, annovera tra i suoi soci attivi i migliori ricercatori e clinici internazionali della materia ed è diventata il punto di riferimento sull’argomento. Naturalmente siamo molto orgogliosi di questo risultato.
All’Expodental Meeting di Rimini sembra che il digitale la faccia proprio da padrone, dato il fitto e dedicato spazio che è riservato al tema. Una buona occasione, quindi, per fare il punto sul digitale, applicato ovviamente all’odontoiatria…
Va dato atto al Consiglio direttivo di Expodental Meeting di avere compreso con chiarezza quale sarà il trend del prossimo decennio in odontoiatria e di aver invitato la Digital Dentistry Society a curare la parte scientifica della manifestazione. Abbiamo costruito uno specifico format per l’evento, in cui le relazioni, tenute dai maggiori esperti del settore, saranno brevi e concise e si svolgeranno all’interno di un’area espositiva interamente dedicata al dentale. A ciascun gruppo di relazioni seguiranno sessioni di hands on presso gli stand delle aziende. Questo consentirà ai partecipanti di ricevere le necessarie informazioni teoriche e, al tempo stesso, vedere in funzione i moderni dispositivi digitali, valutandone personalmente gli aspetti più strettamente tecnici.
La DDS sta elaborando un documento che si soffermerà sullo stato dell’arte dell’odontoiatria digitale, valutato dal punto di vista strettamente scientifico. Ci può già accennare qualcosa?
Viste le premesse per cui è stata costituita, la Società ha prontamente messo in opera la realizzazione di un “consensus” per analizzare la letteratura scientifica esistente in termini di validazione dell’applicazione delle tecnologie digitali all’odontoiatria. All’evento – svoltosi a Milano lo scorso autunno e al quale è stato dato il nome di “D20” – sono stati invitati venti esperti internazionali, ripartiti in quattro sessioni. Ciascun gruppo ha approfondito un particolare settore del digitale: la radiologia digitale, l’impronta ottica, le applicazioni protesiche e quelle chirurgiche.
Dove e in quale significativa circostanza “digitale” questo documento vedrà finalmente la luce? Può anticiparne i contenuti?
Le analisi sono ormai ultimate e le prime bozze stanno vedendo alla luce in questi giorni. Contiamo di pubblicare i dati nei prossimi mesi e di presentare il risultati dell’intero progetto nel corso del prossimo Meeting internazionale DDS, in programma a Lione la prima settimana di ottobre di quest’anno.
Le chiedo se sia d’accordo anche su un’altra osservazione fatta da Bergman: «La sfida principale è aiutare i clienti a gestire il passaggio verso un’odontoiatria digitale». Perché i clienti di una multinazionale del dentale (quindi soprattutto gli odontoiatri) debbono essere aiutati? La tecnologia va forse troppo veloce per loro?
È indubbio che stiamo assistendo a una radicale trasformazione del nostro settore. Mutamento epocale che coinvolge il modo in cui facciamo le diagnosi e i piani di trattamento, in cui eseguiamo le terapie e comunichiamo con i diversi operatori e i pazienti stessi. Il processo interessa fondamentalmente due aspetti pratici, che richiedono un’attenta analisi e capacità di discernimento: la corretta formazione che richiede un approccio completamente nuovo e la valutazione di quale investimento economico sia opportuno fare per portare il proprio studio al passo con i tempi. In entrambi questi aspetti l’odontoiatra va aiutato, e il compito deve essere naturalmente avviato dalle università e dalle scuole di formazione per odontotecnici. Un ruolo importante spetta anche alle società scientifiche, ciascuna per la propria parte di coinvolgimento nel flusso di lavoro digitale. Tuttavia, credo che in questo settore, più che in altri, una parte non meno rilevante debba competere alle industrie, che posseggono al proprio interno professionalità straordinarie che possono contribuire alla corretta divulgazione delle tecnologie digitali nella pratica clinica quotidiana.
In una recente intervista lei ha definito “strabilianti” i progressi apportati dal digitale in odontoiatria. Può spiegare il perché di tale etichetta, illustrando magari qualche caso concreto?
I progressi straordinari compiuti nel nostro settore dal momento dell’introduzione delle tecnologie digitali sono evidenti. Abbiamo oggi strumenti che ci permettono di ottenere con semplicità tutte le informazioni necessarie per diagnosticare, progettare ed eseguire terapie anche complesse in maniera più semplice, più riproducibile e, in molti casi, più economica. L’aspetto più concretamente percepibile è proprio quello della predicibilità dei trattamenti, il cui risultato finale può essere previsualizzato in maniera sempre più precisa. Oltre a consentire un’attenta analisi di ciascun percorso terapeutico, questo permette un più corretto rapporto con il paziente, al quale può essere illustrato con chiarezza il piano di trattamento e i risultati raggiungibili attraverso le diverse opzioni.
Grazie per l’intervista.
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