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Migliore osteointegrazione con superfici ruvide o prevenzione del biofilm con superfici lisce? «Con Synthegra abbiamo trovato la sintesi tra quelle che sembravano due esigenze inconciliabili: l'osteointegrazione e il contrasto all'adesione batterica» annuncia Geass.
Per accelerare il processo di osteointegrazione degli impianti dentali, negli anni Novanta la ricerca industriale e clinica si è orientata verso superfici ad alta rugosità, tralasciando forse di calcolare il rischio di incremento dell'adesione batterica. Se da una parte si potenziava la capacità osteointegrativa, dall'altra si creavano le basi per il problema clinico di oggi: la perimplantite. «In un millitro di saliva di un adulto ci sono circa 500 milioni di batteri – spiega Luca Francetti, responsabile dell’area di odontostomatologia dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano –. Batteri che colonizzano più facilmente una superficie ruvida. La ricerca infatti ha ormai dimostrato che la formazione del biofilm cresce di pari passo con la ruvidità della superficie: più è ruvida e più viene colonizzata dai batteri».
Così oggi c'è un ritorno al passato e tornano di moda le superfici lisce, identificate dalla comunità scientifica come il gold standard per la riduzione batterica anche se non altrettanto efficaci in termini di osteointegrazione rispetto a quelle ruvide. «È vero che la superficie liscia offre minori possibilità di adesione ai batteri e quindi meno chance di formare biofilm, ma questo è vero solo nei primi giorni dell'inserimento dell'impianto – puntualizza Lorenzo Drago, responsabile del Laboratorio di analisi cliniche e microbiologiche del Galeazzi –. Quando un impianto liscio viene attaccato dai batteri la sua superficie può inizialmente ostacolare la formazione delle micro colonie batteriche, ma è solo una questione di tempo: anche quella superficie verrà presto o tardi compromessa e ricoperta dal biofilm».
Ma cos’è esattamente il biofilm? Come spiega Drago è una sostanza polisaccaridica prodotta dai batteri con lo scopo di proteggersi, che li avvolge completamente: una corazza che li rende più resistenti alle cellule immunitarie, alle immunoglobuline e agli stessi antibiotici, che in molti casi non sono in grado di penetrarlo e arrivare a contatto con il batterio.
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