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L’Istat conferma che per gli italiani (il 12 per cento) il dentista è un lusso. Il commento di Roberto Rosso

mar. 14 luglio 2015

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“Il 12% degli italiani dai 14 anni in su ha rinunciato, nei 12 mesi precedenti, a una visita odontoiatrica o a trattamenti per motivi economici“. Inizia così una agenzia lanciata da Adnkronos a commento di un’indagine Istat relativa al 2013 secondo cui il dentista per gli italiani è diventato “un lusso”.

È l’ennesima conferma che le cure odontoiatriche in Italia hanno subito una flessione a causa della crisi. “La quota di popolazione rivoltasi al dentista o all'ortodontista nell’anno è pari al 37,9% nel 2013, dal 39,3% del 2005, mentre in aumento (dal 24% al 29,2%) la percentuale di chi ha dilazionato le visite in un periodo più lungo, da 1 a 3 anni”. Sui rinunciatari i motivi economici incidono per l'85,2%, con uno svantaggio del Mezzogiorno molto evidente. “Solo il 27,7% della popolazione di 3 anni e più ha fatto ricorso alle cure odontoiatriche rispetto alla media nazionale del 37,9%; inoltre è più alta la quota di chi rinuncia per motivi economici (14,5% rispetto al 12% osservato a livello nazionale)”.

Anche per le visite di prevenzione o pulizia dei denti professionale – riporta l’agenzia – la quota rilevata nel Meridione (16%) è la metà di quella del Nord (30,7%), mentre è doppia rispetto al Nord la percentuale di chi non è mai stato da un dentista (12% contro 6,2% ). A livello nazionale, però, migliora la salute dei denti rispetto al 2005. La quota di persone di 14 anni e più che conservano i propri denti naturali (28) va dal 37,8 al 41,4%, coloro che li hanno persi si riducono dal 12 al 10,8%. Altri dati significativi: il ricorso al dentista nell'anno supera il 50% tra le persone con titolo di studio alto e scende al 27,6% tra chi ha al massimo la licenza media. Gli anziani senza denti naturali sono il 17,9% tra i laureati e il 41,6% tra quanti hanno un basso titolo di studio. Dal 39,4% del 2005 al 34% del 2013 calano i bambini (3-14 anni) mai stati dal dentista, fino al 32,2% per quelli con almeno un genitore laureato fino al 41,5% se i genitori hanno al massimo la licenza media.Tra i bambini stranieri raggiunge il 46,3%. Quanto ai trattamenti effettuati: le persone sottopostesi a un solo tipo nell'anno sono il 70,7% (49,3% nel 2005). Diminuisce infine il ricorso ai dentisti che esercitano la libera professione (dal 34,7% nel 2005 al 32,3%), sempre molto contenuta la quota coperta dal settore pubblico o convenzionato (pari al 5%) e stabile rispetto al 2005.

Rosso: «La situazione non è particolarmente peggiorata: sono lievemente cambiate le abitudini degli italiani»
Credo valga la pena di riordinare un po’ le idee relativamente ai dati dello studio “Il ricorso alle cure odontoiatriche e la salute dei denti in Italia”, pubblicata da Istat. Alcune interpretazioni dei risultati della ricerca, molti titoli allarmanti e, a volte, qualche strumentalizzazione dell’importante lavoro dell’Istituto di statistica nazionale rischiano di presentare un panorama pessimistico rispetto alla precedente rilevazione del 2005. Ma, pur in un quadro oggettivamente negativo per la salute orale degli italiani, a mio modo di vedere, la situazione non è particolarmente peggiorata; semplicemente sono lievemente cambiate le abitudini degli italiani, in parte a causa della situazione recessiva ormai di natura strutturale e in parte per l’evoluzione demografica che, nel frattempo, ha subito il Paese.

Veniamo quindi ai numeri e alle conseguenti osservazioni. Innanzitutto il 38% degli italiani è andato dal dentista nel corso dell’ultimo anno, mentre nel 2005 la percentuale è stata di poco superiore al 39%, con un lieve calo percentuale (− 1,4%). Ma in termini assoluti, considerando che nel frattempo la popolazione italiana è aumentata di circa il 4%, il numero totale di pazienti è rimasto invariato e si calcola intorno ai 23 milioni di cittadini. Dato peraltro coerente con i consumi rilevati da Key-Stone; ad esempio, nel 2015 si sono consumati 30 milioni di tubofiale di anestetico, circa 70 milioni di aspirasaliva, oltre 120 milioni di salviette plastificate, ecc. I circa 23 milioni di pazienti sono indubbiamente pochi, ma non abbiamo assistito a un crollo, bensì a un ristagno.

Il problema è semmai per i dentisti e gli studi odontoiatrici, che nel frattempo sono aumentati del 13% circa nello stesso periodo (rispettivamente da poco più di 53.000 a 60.000 e da 35.000 a quasi 40.000), con un indubbio peggioramento dei pazienti pro-capite. Affermare peraltro che il 38% è andato dal dentista nell’ultimo anno non significa che questa sia la porzione di italiani che si rivolge allo specialista odontoiatrico almeno una volta all’anno, poiché tra questi una buona parte ha avuto accesso alle strutture occasionalmente, quindi sotto il profilo della “cultura della prevenzione” il nostro Paese è davvero molto indietro.

Decisamente positiva invece la situazione di coloro che non sono mai andati dal dentista, che migliora in modo sensibile soprattutto nelle aree che maggiormente sentono questo problema, cioè nel Sud e per le fasce economiche più deboli. Probabilmente è aumentata la percentuale di coloro che, se costretti da una situazione di urgenza, non rinunciano al dentista, ma ha di certo influito anche il lento e inesorabile invecchiamento della popolazione.

Interessante anche notare l’andamento delle risposte intermedie, che classificheremmo secondo due differenti principi. Nel caso di chi è andato dal dentista nel periodo da 1 a 3 anni, è probabile prevalga una porzione di italiani che frequentano abbastanza abitualmente lo studio, seppur non ogni anno. Tra coloro che invece mancano dallo studio da oltre tre anni, troviamo probabilmente molti che hanno “dimenticato” di tornare a farsi perlomeno controllare da ormai troppo tempo. Sommando i primi due scaglioni, quindi considerando coloro che sono stati dal dentista per lo meno negli ultimi tre anni, la percentuale aumenta del 4%, passando dal 63% del 2005 al 67% del 2013. Possiamo quindi affermare che i due terzi degli italiani vadano di fatto dal dentista, ma con una frequenza insufficiente rispetto a quanto raccomandato nelle Linee guida nazionali del Ministero della Salute.

In ultimo, il fatto che l’85% di coloro che non hanno avuto accesso agli studi dentistici nell’ultimo anno sia stato frenato da ragioni economiche, la dice lunga sulla problematica di fondo che riguarda l’odontoiatria nostrana, tuttora troppo costosa per gran parte della popolazione. Nonostante il modello di business dello studio tradizionale e il suo conto economico sempre più al limite, non consentano oggettivamente di ridurre oltre modo i prezzi delle prestazioni, sarà indispensabile prendere provvedimenti di welfare odontoiatrico, che ancora non è minimamente nell’agenda politica italiana, pena il rischio di un enorme incremento dell’odontoiatria low-cost, che andrà a colmare una domanda latente ma impellente. Augurandoci che la nostra salute sia comunque garantita.

 

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