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Liberi professionisti o imprenditori? Cosa siamo o cosa ci converrebbe essere?

William Manuzzi

William Manuzzi

mar. 17 giugno 2014

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Per definizione (da Wikipedia) con il termine “libero professionista” si indica un lavoratore che, avendo una professionalità acquisita tramite percorsi di istruzione, la fornisce a vari clienti senza avere datori di lavoro. Impresa, sotto il profilo giuridico, è invece un’attività economica professionalmente organizzata per la produzione o lo scambio di beni e/o servizi.

Sono considerati, quindi, piccoli imprenditori (articolo 2083 c.c.) anche coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il proprio lavoro.
Da tempo vi è un contrasto sulla visione dell’attività professionale tra gli Ordini (e non solo quello dei Medici-Odontoiatri) e l’Antitrust. La conferma arriva da un rapporto dell’Authority nel quale viene ribadito che l’attività professionale altro non è se non attività imprenditoriale e, come tale, non può essere limitata. Una visione che spesso ha portato Ordine e Agcom a scontrarsi anche in aule giudiziarie, specie per quanto riguarda la questione pubblicità e tariffe.

Nel 2011 anche l’allora Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Catricalà, in un’intervista, dichiarò che secondo le norme e lo spirito del Trattato Europeo, l’attività professionale viene considerata attività imprenditoriale. Ne deriva che ci deve essere libertà di definire le tariffe e di fare pubblicità per amplificare la possibilità di scelta dei clienti (pazienti). A questo punto, agli Ordini rimane il ruolo di semplici gestori di elenchi di professionisti. Questa è anche la finalità di quanto previsto nella bozza della manovra economica nel cui capitolo “Liberalizzazioni e sviluppo” si afferma il “principio di libertà d’impresa” sul quale si deve basare l’esercizio delle professioni. Si sancisce inoltre “l’abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni” e si cancella la limitazione dell’esercizio di un’attività economica, mediante indicazione tassativa della forma giuridica richiesta dall’operatore (in poche parole, l’ammissione delle società di capitale). Noi sappiamo bene che gli studi sono diventati imprese. La loro gestione richiede un notevole sforzo di tempo e denaro sommato all’impegno continuo di svolgere, nel miglior modo possibile, la professione per la quale abbiamo tanto studiato e che sicuramente amiamo.

La crescita che non decolla, il peso delle tasse superiore in larga misura al 50% degli utili, i rapporti difficili con le banche che, in molti casi, hanno stretto i cordoni del credito, sono fattori che accomunano tutti i lavoratori autonomi (professionisti, imprenditori, commercianti e artigiani). Ma se le imprese (e le attività commerciali) ben rappresentate, cercano e propongono soluzioni (cassa integrazione, incentivi, defiscalizzazioni, snellimento della burocrazia, mobilità, liberalizzazioni, riforma fiscale, infrastrutture, aumento delle quote export, aggregazioni, aperture all’estero, innovazioni, riforma delle pensioni ecc.) i liberi professionisti (odontoiatri in particolare), assolutamente silenti a livello politico-mediatico, subiscono soluzioni che “altri” ritengono utili avendo a che fare con convenzioni assurde, low cost, pubblicità di tutti i tipi e turismo odontoiatrico. Di loro si parla solo per tariffe troppo alte, mancanza di concorrenza, libera pubblicità, libera circolazione, casta, abolizione dell’Ordine e, soprattutto, evasione fiscale. Ma allora, cosa siamo? O meglio, cosa ci converrebbe essere: liberi professionisti o imprenditori?

L'articolo è stato pubblicato sul numero 5 di Dental Tribune Italy 2014.

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