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Forme e luce, la tessitura: come trasmetterla in maniera predicibile

G. Picciocchi & D. Rondoni

G. Picciocchi & D. Rondoni

mer. 12 marzo 2014

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L’essenza della fotografia in odontoiatria, da quando è nata con le prime pellicole analogiche, è sempre stata la stessa: “comunicare” (dal latino cum = con, e munire = legare; la parola communico = mettere in comune, nella sua prima definizione è l’insieme dei fenomeni che comportano il trasferimento di informazioni). Il suo senso è infatti quello di fornire all’odontotecnico il maggior numero di informazioni, affinché l’indiretta in laboratorio emuli in maniera più fedele possibile la natura del paziente.

La difficoltà maggiore del lavoro in laboratorio è ovviamente avere il paziente davanti; gli unici riferimenti sono le foto e i gessi e, quindi, sbagliare il trasferimento delle informazioni significa un fallimento assicurato.

Le caratteristiche che influiscono sul colore di un dente sono:

  • la tinta, cioè il colore di un dente indica quale parte dello spettro della luce viene assorbito (tutto bianco-nulla nero);
  • il croma, che determina la saturazione di un colore, cioè la quantità di tinta in rapporto a una luce bianca;
  • il valore, che indica la luminosità;
  • la traslucenza, che indica quanto veloce la luce passi attraverso il dente (smalto simile al vetro, dentina simile all’acqua); meno un dente è traslucente più è opaco;
  • l’opalescenza: attraverso la fotografia normalmente possiamo comunicare tinta-croma-valore, talvolta l’opalescenza, difficilmente la fluorescenza, attraverso strumenti da alloggiare sui flash dedicati (fluor-eye), o con uno spettrofotometro.

Ne esiste però un sesto che viene spesso dimenticato: la tessitura, poiché la tessitura è luce.
Questa caratteristica non è di secondo piano, in quanto la texture di un dente indica quando è presente la rugosità, quindi depressioni e concavità ad andamento parallelo assiale o perpendicolare all’asse del dente, ma cosa più importante la tessitura influenza drammaticamente la traslucenza di un dente.
In una superficie piatta, la luce passa e viene riflessa con fasci paralleli, determinando una “luce riflessa speculare” molto traslucente, qualora le depressioni parallele, quando presenti, fanno sì che la luce passi in maniera disordinata.

I fasci sono riflessi in varie direzioni e si parla di “luce riflessa diffusa” creando una superficie più opaca.

Dente piatto, opacità <
Dente ruvido, opacità >

Un altro trucco può essere quello di utilizzare una tecnica fotografica cosiddetta “a tramonto”.

Durante uno scatto intraorale, a seconda di come usiamo i flash, è molto facile perdere questa informazione.
Una fonte di illuminazione con flash anulari (Fig. 1) appiattisce il dente e, avendo fasci paralleli, vi è troppa riflessione, quindi si perde la profondità del colore. In natura, la luce (sole, neon, tungsteno ecc.) non è mai diretta rispetto alla superficie del dente, quindi questo effetto si verifica costantemente, anche se in maniera microscopica.
La base per una foto di un centrale dovrebbe essere almeno con due flash laterali per avere maggior tridimensionalità.

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Come dicevamo, i flash laterali andrebbero inclinati rispetto all’obiettivo della macchina fotografica per non avere una luce diretta; il problema è che più li incliniamo e meno riflessione otterremo, quindi le nostre microdepressioni di superficie vanno a sparire. Lo vediamo, infatti, nell’esempio in figura (Fig. 3), in cui un premolare è stato tagliato con una fresa a grana grossa, mentre aumenta di visibilità abbassando la luce.

Flash paralleli, riflessi >
Flash angolati, riflessi <
Flash più deboli, riflessi >

Per foto di base si consigliano angolazioni di 20° rispetto all’obiettivo ed esposizioni non molto alte. Altri aiuti ci possono arrivare facendo della postproduzione su un qualsiasi programma che permetta di modificare la luminosità di una fotografia (Aperture, Photoshop, iPhoto, ecc.) compiendo tre semplici passi: abbassare la luminosità, alzare tutto il contrasto e abbassare tutta la saturazione (Fig. 4), oppure produrre foto in HDR (High Dynamic Range), una funzione di alcuni programmi come Photoshop – dal CS5 in su – che creano e fondono tre esposizioni diverse della stessa foto aumentando la nitidezza e le linee di contrasto presenti su una superficie (Fig. 5).

Durante il giorno, quando il sole cala dietro le montagne, mette più in risalto le ombre degli alberi rispetto al mezzogiorno (Fig. 6) e la stessa cosa accade sullo smalto se incliniamo la fonte di luce (Fig. 7). Immaginiamo di avere un solo flash posizionato a ore 12 rispetto alla superficie del dente: ne risulta una superficie piatta (Figg. 8, 9).
Spostando la fonte luminosa a ore 1, si cominciano a intravedere la tessitura di superficie e le crackline dello smalto; questo succede perché non abbiamo più due fonti di luce che si annullano, ma una sola che crea ombre, quindi l’effetto è contrario (Figg. 10, 11). In posizione a ore 2, emergono ancora maggiormente le ruvidità superficiali (Figg. 12, 13). Con il flash posizionato a ore 3 – siamo verso il crepuscolo – la luce diminuisce ancora ed emergono chiaramente le macrodepressioni anatomiche (Figg. 14, 15).

La stessa cosa può essere eseguita muovendo il flash in senso naso-mentale (Fig. 16), dove il flash spostato rispetto all’asse ottico di 20° produce un effetto come in Figura 17.
Notiamo come, nonostante si tratti della stessa bocca, a seconda di come cambiamo il modo di fotografare, vengano rivoluzionate totalmente le immagini che diamo delle caratteristiche di superficie.
È comunque fondamentale capire che queste fotografie da sole non sono sufficienti per l’odontotecnico; bisogna mantenere in ogni caso uno status di base di foto volto-buccali, la corretta centratura dell’esposizione-bilanciamento del bianco, foto con denti di scala ceramica-resina di riferimento e schermi tarati. Senza dubbio questa tecnica, insieme alle sopraccitate, può essere un valore aggiunto per cogliere il parametro tessiturale, che spesso è sottovalutato, ma che ha un enorme valore nel goal finale; un errore di valutazione, il mancato reperimento di questo o la sua mancata trasmissione comportano sicuramente un fallimento cromatico di cui spesso non capiamo il motivo.

L'articolo è stato pubblicato sul numero 1 di Cosmetic Dentistry Italy 2014.

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