Nella bioetica della responsabilità si possono riscontrare molti aspetti connessi alla professione odontoiatrica e al pericolo di possibili abusi di potere che dentista (e medico) possono esercitare sul paziente.
Il progresso scientifico e tecnologico e gli strumenti che il mercato offre con estrema disinvoltura per la soluzione dei molti problemi che insidiano la professione, pongono una riflessione sulla possibilità di un uso a volte velleitario, spesso non sempre adeguato alle capacità di gestione e di controllo dello strumento da parte del clinico. Il filosofo Hans Jonas ha elaborato un’interessante teoria bioetica basata sul principio di responsabilità, partendo dalla sproporzione tra potere incontrollato scientifico e tecnologico e le condizioni di fragilità della vita umana. La riflessione guarda alle conseguenze che questo potere ha a livello planetario e mostra l’esigenza etica di valutare il rischio degli esiti prodotti sulla natura dalle scelte, decisioni e infine dalle azioni umane.
In questo breve articolo vorremmo ricondurre la riflessione cosmica di H. Jonas al microcosmo odontoiatrico, potendosi molte delle sue considerazioni applicarsi alle problematiche presenti nell’odontoiatria. Prendiamo in considerazione il “Principio di responsabilità”. Cosa muove la nostra volontà ad agire bene nei confronti del paziente?
La legge morale impone di dare ascolto all’appello di ordine deontologico del “non nuocere” e cercare di conseguire il “bene” della persona affetta da una patologia in vista del bonum humanum. Ma per mettere in moto la mia volontà quell’appello deve fare leva sul mio senso di responsabilità. Il sentimento deve venire in aiuto della ragione per consentire al bene oggettivo, ossia la salute del paziente, di esercitare un potere sulla volontà. Quindi il sentimento della responsabilità, che vincola il medico al paziente, svolge un ruolo importante e necessario nel sottomettere la volontà e quindi l’esercizio della professione, alla legge morale del “bonum facere”.
Anche se fondata sulla ragione che ne garantisce la validità universale in quanto condivisa da tutti gli uomini, la legge morale da sola, risulterebbe astratta e insufficiente a muovere la volontà nella giusta direzione. Esiste una responsabilità naturale come dei genitori verso i figli e una artificiale derivante dall’assunzione di un ruolo: come decidere di fare il dentista. In entrambi i casi il destino e l’incolumità di un’altra persona si trovano sotto la mia tutela che si traduce in un obbligo nei loro confronti. Ovviamente soltanto chi detiene una responsabilità può agire in modo responsabile. Se mi limitassi ad esercitare solamente il mio potere di padre, o quello paternalistico di medico, senza adempiere ai miei doveri, il mio comportamento sarebbe irresponsabile, ossia il contrario di quanto abbiamo visto si richiede all’esercizio della professione medica e odontoiatrica.
L’archetipo di ogni responsabilità è quella dell’uomo per l’uomo. Ciascuno ha sperimentato su se stesso la responsabilità originaria delle cure genitoriali. Si sa qual è la situazione dei genitori, i quali hanno un’intuizione immediata dell’impellente bisogno di cure globali da parte del figlio (la mamma come ogni mammifero offre il seno al neonato). L’evidenza e l’intensità della responsabilità “verticale” del genitore verso il figlio si manifesta soprattutto nella continuità di cure che non ammettono soste, considerata la vulnerabilità del neonato.
Dato il significato originario della responsabilità se ne può ricavare che costituisce la premessa di ogni azione dell’uomo nell’agire interumano, la condizione preliminare della morale. Partendo da questo dato fondamentale della natura umana diventa evidente come la responsabilità si estende in modo “orizzontale” verso tutto ciò che è animato (vedi l’empatia verso la vulnerabilità della vita organica tanto più manifesto quanto più la specie con cui trattiamo si avvicina all’umana).
Nel campo professionale la responsabilità si attua nel momento in cui il professionista ritiene di conoscere al meglio quel che è necessario per il paziente. Oggettivamente rimane in sospeso se quella convinzione sia legittima, poiché il fatto che il clinico dia seguito alla sua scelta terapeutica impedisce la prova di soluzioni alternative. Tuttavia l’indirizzo terapeutico da lui prescelto, prodotto di una determinata scuola di pensiero, fa parte del carattere inalienabile della responsabilità professionale nell’atto di prendere una decisione dalla quale spesso non si torna più indietro, come estrarre due quarti superiori in un giovane per eseguire un trattamento ortodontico corretto.
Ovviamente il professionista deve rispondere delle sue azioni se è ritenuto responsabile di conseguenze negative, di cui eventualmente deve farsi carico. Il risarcimento riveste un carattere essenzialmente giuridico e, non in senso stretto, morale. Il danno deve essere riparato se l’attribuzione è in stretta connessione con l’azione e la conseguenza non si perde nell’indeterminato o ad una attenta analisi non sia imputabile a trascuratezza del paziente.
La riparazione giuridica del danno professionale va tenuta distinta dal concetto di punizione che ha un senso morale, in cui è l’azione ad essere punita più che le conseguenze. La differenza tra responsabilità legale e responsabilità morale si riflette nella distinzione tra diritto civile e penale. In entrambi i casi la responsabilità si riferisce alle azioni: in ambito civilistico si analizzano le conseguenze e si quantifica l’entità del danno arrecato, nel penale si giudica la qualità dell’azione in se stessa e non se sia causa di un effetto determinato.
Si possono dare circostanze prive di conseguenze dove tutto è stato predisposto per arrecare intenzionalmente un danno di cui è stata bloccata l’esecuzione. Il responsabile deve rispondere penalmente delle sue azioni, va da sé poi che l’azione andata a segno risulta più grave di quella fallita.
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