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Valutazione clinica di un dispositivo riassorbibile “a cupola”, associato a GBR

Fig. 1. Aspetto clinico del caso dopo la rimozione della membrana non riassorbibile.
S. Parma Benfenati, M. Roncati, P. Galletti, C. Tinti

S. Parma Benfenati, M. Roncati, P. Galletti, C. Tinti

mer. 2 aprile 2014

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Gli impianti osteointegrati si associano a percentuali elevate di successo, tuttavia la loro inserzione può risultare controindicata in presenza di un supporto osseo insufficiente. Di conseguenza, si utilizzano tecniche, quali la rigenerazione ossea guidata (GBR), finalizzate all’aumento del volume osseo.

Negli ultimi due decenni, si è dimostrato come sia possibile trattare numerosi difetti ossei, con questa tecnica, prima o contestualmente all’inserzione dell’impianto1.
La tecnica GBR si è dimostrata efficace per la rigenerazione ossea attorno agli impianti endossei, inoltre l’osso, rigenerato con GBR, sembra comportarsi come osso nativo durante il carico funzionale2-5. Tecniche sempre più raffinate, associate all’applicazione dei principi, propri della GBR, permettono di ottenere risultati clinici sempre più soddisfacenti.

Di recente, utilizzando membrane di tipo riassorbibile6,7, si sono conseguiti risultati analoghi a quelli associati all’uso di membrane non riassorbibili. In commercio, è possibile reperire materiale riassorbibile e dispositivi, utilizzati come mantenitori di spazio, di vario tipo8. Gli obiettivi della GBR, inoltre, sono molteplici: proteggere, stabilizzare il coagulo, evitare interferenze. Il rispetto di tali principi determina la quantità massima di osso che può essere rigenerato. Condicio sine qua non: per avere rigenerazione, nei difetti “non-space making”, è quella di creare uno spazio. In presenza di un numero ridotto di pareti ossee residue, è difficile evitare il collasso dei tessuti molli e della membrana, su eventuali spire esposte. Pertanto in caso di difetti “non-space making” è assai critico creare uno spazio adeguato, in cui il coagulo risulti protetto da insulti meccanici e dalla colonizzazione di cellule, di derivazione gengivale, favorendo viceversa la partecipazione di cellule, provenienti dalle strutture ossee circostanti, per ripopolare il coagulo9. L’utilizzo di un filo di sutura riassorbibile, PDS II, come dispositivo mantenitore di spazio, è stato illustrato in un precedente articolo10, sempre nel rispetto dei principi della rigenerazione ossea guidata, menzionati. Suddetto dispositivo, in tale case report, si era dimostrato capace di creare, al di sotto della membrana, uno spazio adeguato e di mantenere una congrua protezione del coagulo, stabilizzando la ferita e soprattutto evitando un secondo intervento chirurgico.

La sutura riassorbibile PDS II è costituita da un monofilamento, ottenuto dalla polimerizzazione del monomero paradioxanone, ed è utilizzata in vari ambiti della medicina e della chirurgia. Secondo quanto riportato in letteratura, tale materiale di sutura mantiene il 70% di resistenza alla trazione nelle prime due settimane, che si riduce al 50% in quarta settimana e a circa il 25% in sesta settimana11. Oltre a ciò, il PDS II si riassorbe lentamente, per effetto di una reazione idrolitica, che inizia al 91° giorno e si completa dopo un periodo di 182 giorni, in vivo11. Può associarsi ad alterazioni tissutali di lieve entità, che comunque scompaiono completamente al compimento del processo di riassorbimento11. Allo scopo di mantenere uno spazio adeguato, si possono utilizzare membrane non riassorbibili rinforzate in titanio, oppure altri dispositivi, come griglie in titanio7,12, pur tuttavia i materiali più utilizzati risultano essere: membrane riassorbibili associate a innesti ossei, di origine umana ed eterologa. In questo case report sembra possibile ipotizzare una valutazione delle potenzialità rigenerative di un dispositivo “a cupola”, riassorbibile, associato a tecnica GBR, grazie al confronto con i siti adiacenti, in cui non è stata applicata tale tecnica.

Materiali, metodi e risultati
Un paziente, in buone condizioni di salute generale, non fumatore, è stato sottoposto a intervento chirurgico per l’inserzione di tre impianti osteointegrati (SK3 Shakleton), in zona primo e secondo premolare e primo molare mandibolare di destra. Si è seguito il protocollo chirurgico, indicato per gli aumenti di cresta verticale in GBR13,14. All’esame obiettivo si osserva un’architettura ossea caratterizzata da concavità, di entità moderata, in corrispondenza degli impianti inseriti (Fig. 1). La riduzione di spessore orizzontale porta all’esposizione di una spira in corrispondenza dell’impianto intermedio, e a perdita di continuità della cresta ossea alveolare in corrispondenza dell’impianto, in posizione più mesiale (Fig. 1).
Tale deficit, seppur minimo, considerando la lunghezza degli impianti, potrebbe rappresentare un fattore di rischio, non per l’osteointegrazione di tali strutture, ma per la stabilità a lungo termine del volume osseo presente, che sembra essere alquanto ridotto, nonché per il mantenimento dell’integrità dei tessuti molli perimplantari15-18. La maggior parte dei clinici, concorda come una quantità “adeguata” di gengiva aderente, attorno ad un dente naturale o a un manufatto protesico su impianti, faciliti il mantenimento di una congrua igiene orale, assicurando, con maggior predicibilità, una stabilità clinica a lungo termine. Il piano di trattamento di questo caso, prevedeva un approccio rigenerativo, limitato all’area del primo premolare e una seconda fase chirurgica per il collegamento dei pilastri protesici, in concomitanza al trattamento implantare nell’arcata contro-laterale mandibolare di sinistra. Il rientro chirurgico programmato ha dato al clinico la possibilità di valutare il processo di guarigione.

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Con una fresa cilindrica di diametro uguale a quello della sutura PDS II, montata su un manipolo a bassa velocità, si creano numerose perforazioni ossee della corticale per accedere alle sottostanti cavità midollari, al fine di stimolare la partecipazione di cellule mesenchimali (Fig. 1).
Per creare un effetto “a cupola”, si è utilizzato un filo di sutura assorbibile PDS II (polidioxanone, Ethicon/Johnson & Johnson) (Figg. 2, 3). Due segmenti di PDS II, precedentemente tagliati della lunghezza desiderata, vengono inseriti in quattro dei fori eseguiti, per trattenere in situ i fili di sutura (Figg. 2, 3), creando così un effetto a cupola (Figg. 2, 3).
Come materiale riempitivo si è utilizzato osso umano liofilizzato mineralizzato (corticale spugnoso, MinerOss, BioHorizons) e, come barriera, una matrice dermica acellulare (AlloDerm GBR, BioHorizons) fissata con una piccola vite da osteosintesi (Figg. 4, 5). Si è utilizzato un alloinnesto umano liofilizzato mineralizzato (di osso corticale spugnoso, MinerOss, BioHorizons) a completa copertura delle spire esposte, colmando lo spazio, creato dai fili di sutura PDS II (Fig. 4).

La membrana è stata ritagliata e adattata al di sopra del dispositivo a cupola, per coprire completamente il deficit osseo, in corrispondenza dell’impianto più mesiale, escludendo volutamente dall’approccio rigenerativo i restanti due impianti (Fig. 5). Per ottenere la copertura integrale della membrana e del materiale rigenerativo, è necessario che il lembo risulti privo di tensioni, per cui si interrompe la continuità del periostio, alla base sia del lembo vestibolare che di quello linguale, ottenendo così la passivazione del lembo a tutto spessore, che può essere posizionato coronalmente. Si ottiene una chiusura per prima intenzione dei lembi, utilizzando una doppia linea di sutura con punti a materassaio orizzontale interno estroflettenti, a “U”, intercalati a punti semplici staccati, con fili di sutura riassorbibili. Si raccomanda l’uso di antibiotici: amoxicillina + acido clavulanico, 1 g ogni 12 ore, due ore prima dell’intervento e per i 6 giorni successivi. Si suggerisce inoltre l’assunzione di 800 mg di ibuprofene in prima giornata e di 600 mg dello stesso farmaco, per altri 3 giorni. Si motiva il paziente a una congrua igiene domiciliare; gli autori raccomandano, in particolare, l’uso quotidiano, frequente, di una garza medicata imbevuta di clorexidina 0,12% (Digital Brush, Enacare, Micerium), avvolta attorno al dito indice della mano dominante e utilizzata con un delicato movimento a rullo, in direzione apico-occlusale, dalla mucosa orale alla superficie dell’impianto/dente, simile al movimento di spazzolamento secondo la tecnica a rullo21-24.

Il decorso post operatorio è stato privo di complicazioni nei 10 mesi successivi all’intervento (Figg. 6, 7). A ogni visita di follow-up non si riscontravano segni di infiammazione placca-indotta: il paziente non riferiva alcun fastidio, né segni di edema. Gli impianti sono rimasti completamente sommersi per tutta la fase di guarigione. Si apprezza, fin dai primi mesi post-operatori, una spiccata convessità dei tessuti parodontali, solo ed esclusivamente in corrispondenza del primo premolare mandibolare (Figg. 6, 7).
In occasione della seconda fase chirurgica, per il collegamento dei pilastri protesici, si osserva, dopo il sollevamento del lembo, un tessuto di neo-formazione di dimensioni analoghe al volume creato, e mantenuto dal materiale rigenerativo utilizzato, attorno all’impianto in sede mesiale (Figg. 8-11), in contrasto con un supporto osseo, notevolmente inferiore, là dove non è stata eseguita una tecnica rigenerativa.

Discussione
In questo caso specifico si nota una particolare situazione clinica, che si presta ad alcuni doverosi commenti. Il piano di trattamento prevedeva l’inserzione di tre impianti in sede mandibolare, posteriore destra, il più mesiale dei quali presentava deficit osseo di spessore verticale, associato a un’architettura ossea, particolarmente concava. Si notava inoltre la presenza di una teca ossea residua, alquanto sottile. Negli altri due impianti distali al primo, si osservava una spira esposta in quello in posizione intermedia. Inoltre, la teca ossea appare sempre piuttosto ridotta. Si tratta quindi di impianti con caratteristiche analoghe di supporto osseo.

Non sussistono condizioni di assoluta necessità per un intervento a fini rigenerativi. Tuttavia, è presente una situazione clinica di supporto osseo molto sottile, che di conseguenza ha maggiori caratteristiche di instabilità e vulnerabilità, sia dei tessuti duri che di quelli molli, in prospettiva di un mantenimento a lungo termine15-18. È convinzione diffusa tra i clinici che: maggiore è lo spessore del tessuto perimplantare e migliore la sua qualità, minore sarà la sofferenza e la conseguente contrazione, durante i successivi processi di maturazione, favorendone la stabilità a lungo termine24. Clinicamente è dunque preferibile ottenere, attorno agli impianti, un supporto osseo di adeguato volume, possibilmente associato a un sigillo mucoso spesso, come quello che si è ottenuto grazie alla tecnica rigenerativa eseguita sull’impianto in posizione più mesiale.

Questo caso clinico ha offerto l’opportunità di trattare, con metodo clinico comparativo, e valutare, a distanza di tempo, zone che presentavano criticità analoghe, applicando una tecnica rigenerativa, associata all’uso di un dispositivo “a cupola” riassorbibile, in un solo sito, non coinvolgendo i restanti due impianti, e questo ha permesso di mettere a confronto i due tipi di guarigione. In occasione della seconda fase chirurgica programmata, si può apprezzare una notevole differenza tra la quantità di materiale rigenerativo, che appare presente attorno all’impianto trattato con tecnica rigenerativa. Viceversa, attorno ai due impianti più distali, non coinvolti dall’approccio rigenerativo, si osservava uno spessore osseo inalterato. Previa incisione con la lama del bisturi, dalla valutazione clinica dei due siti limitrofi si può apprezzare una componente connettivale ridotta e una generosa neoformazione ossea, che ha determinato la riduzione della deiscenza e un aumento di volume osseo orizzontale, come sempre si riscontra al termine di un processo di guarigione ideale, salvo complicazioni, post GBR.

I filamenti di sutura riassorbibile PDS II, nel presente case report, si sono dunque dimostrati un dispositivo efficace per ottenere un effetto cupola, che può favorire i principi biologici della GBR, mantenendo il lembo costantemente distanziato, per molti mesi, dal materiale rigenerativo utilizzato, può inoltre proteggere il tessuto neoformato, in seguito al fisiologico processo di riassorbimento dell’osso umano mineralizzato liofilizzato, previsto in 9 mesi, e all’integrazione della matrice dermica acellulare con il tessuto connettivo dell’organismo ospite. Tale approccio rigenerativo può essere inoltre esteso a un trattamento implantare “one stage”, con il vantaggio di evitare una seconda procedura chirurgica, riducendo disagi per il paziente, nonché limitando i tempi della finalizzazione estetica e funzionale. L’aumento di spessore osseo vestibolare raggiunto, può svolgere un ruolo importante per la solidità ossea e per l’estetica dei tessuti molli circostanti gli impianti, favorendo la stabilità dei risultati, a lungo termine17,18,25.

Conclusioni
Gli autori ipotizzano, sulla base della valutazione limitata a questo caso clinico, che il materiale di sutura riassorbibile PDS II, utilizzato per creare un effetto “a cupola”, in associazione a tecniche rigenerative attorno agli impianti, possa essere un valido mantenitore di spazio, per un sufficiente lasso di tempo, tale da consentire un’adeguata rigenerazione ossea, anche in associazione ad altri materiali rigenerativi riassorbibili, alloinnesti e sostituti dell’osso.

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L'articolo è stato pubblicato sul numero 1 di Implant Tribune Italy 2014

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