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Disturbi scheletrico-muscolari nella pratica clinica dell’igienista dentale: prevenzione e terapia

Fig. Igienista e paziente.
A. Butera, A. Quattri, S. Benzoni, A. Aiello, L. Lallitto, A. Lauria, G. Smeraldi

A. Butera, A. Quattri, S. Benzoni, A. Aiello, L. Lallitto, A. Lauria, G. Smeraldi

mer. 3 dicembre 2014

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Le patologie occupazionali sono oggi un elemento di primaria importanza sia da un punto di vista prettamente sanitario che economico e sociale, dal momento che alcune di esse rappresentano la prima causa di assenteismo dal posto di lavoro.

Tale condizione assume una valenza ancor più critica per quelle professioni come l’igienista dentale per le quali il mantenimento di posture non fisiologiche è pressoché costante e necessario all’espletamento delle mansioni stesse. A questo proposito, negli ultimi anni molte aziende produttrici hanno concentrato gran parte dei loro sforzi per offrire soluzioni ergonomiche che possano supportare nel miglior modo possibile le esigenze del professionista sul posto di lavoro, studiando e realizzando articoli innovativi per forma e materiali e conformi alle necessità antropometriche e funzionali dell’utilizzatore.
Di seguito verranno presentati i principi chiave su cui si basano tali soluzioni, e verranno affrontate le più rilevanti patologie occupazionali di origine posturale legate alla professione dell’igienista dentale insieme ai prodotti che comunemente vengono impiegati per lenirne le conseguenze, individuando in questo modo, nel rapporto con il tecnico ortopedico, un importante fattore non solo terapeutico ma anche preventivo.

Il sistema tonico posturale
La postura di ogni individuo è la conseguenza dello stretto rapporto esistente tra il sistema muscolare e quello scheletrico che con il loro interfacciarsi generano i movimenti e l’assetto in posizione statica (Fig. 1). Si viene così a definire il cosiddetto sistema tonico-posturale per il cui mantenimento risulta fondamentale l’azione anche di apparati recettivi dalla specificità più o meno elevata come organi di senso e recettori di vario genere. Tra questi giocano un ruolo di assoluta importanza l’occhio e il recettore podalico, inteso come principale interfaccia tra il soggetto e il terreno, e quindi rilevante sia in statica che nella deambulazione; ugualmente importante è anche l’intervento dei recettori muscolari e articolari. Nel loro insieme essi lavorano in sinergia conducendo stimoli di natura differente al sistema nervoso centrale che li elaborerà integrandoli e dando il via a risposte conseguenti. Nel momento in cui il rapporto tra questi recettori dovesse risultare sregolato si genererà uno squilibrio che condurrà a conseguenti tensioni tonico-muscolari anomale. Quando le informazioni ricevute dal sistema nervoso centrale risultano asimmetriche o patologiche, il rapporto tra recettori tenderà a condurre l’organismo a produrre una reazione di adattamento, provocando un aggiustamento posturale che con il tempo verrà considerato normale. In un primo momento l’alterazione può essere reversibile ma successivamente si genera un cambiamento permanente del tono dei muscoli coinvolti, che porterà al nuovo schema corporeo considerato come corretto.

I muscoli posturali non lavorano in modo isolato ma sotto forma di insiemi sinergici o antagonisti definendo vere e proprie catene muscolari che convergono a livello dei cingoli scapolare e pelvico, i quali in seguito a scompensi nel loro equilibrio basculano e si deformano tamponando, almeno inizialmente, evidenti deformità del rachide. Nel momento in cui tale funzione tampone viene meno sarà proprio la colonna a subire alterazioni che condurranno probabilmente a deformità scoliotiche.
Situazioni eccezionali sono date da condizioni in cui eventi esterni all’individuo ne condizionano il corretto assetto posturale come per esempio un’evidente eterometria degli arti inferiori o la presenza di grosse cicatrici patologiche retratte. In questi casi solo l’eliminazione della causa esterna potrà condurre al ristabilirsi della corretta condizione statica e dinamica (per gli esempi precedenti l’applicazione di un rialzo podalico o il trattamento chirurgico della cicatrice).

Biomeccanica occupazionale
La diffusione delle affezioni della colonna all’interno delle categorie di individui in età lavorativa dimostra come queste siano strettamente connesse alla postura assunta durante l’esecuzione dei diversi compiti previsti dall’impiego. La rilevanza di queste patologie è data inoltre dal peso in termini economici che esse rappresentano per la comunità, in quanto i soggetti colpiti manifestano limitazioni nello svolgimento delle attività, aumentando notevolmente l’assenteismo dal posto di lavoro. Le alterazioni a carico del tratto lombo-sacrale rappresentano infatti uno dei problemi di maggiore rilevanza nei Paesi occidentali, come dimostrano le stime secondo cui negli Stati Uniti il low-back pain determina una media di circa 30 giorni di assenza per malattia ogni cento lavoratori e causa circa 1/3 dei costi totali di indennizzo per patologie professionali.
Nel sistema giuridico italiano a partire dal 1988 è stato introdotto il cosiddetto sistema misto, secondo il quale risulta suscettibile di indennizzo qualsiasi tipologia di malattia purché se ne accerti l’origine professionale riconoscendo la presenza di un’effettiva affezione morbosa e la presenza di un nesso causale con la noxa lavorativa. È quindi naturale che le aziende abbiano investito negli ultimi anni nell’analisi delle cause e modalità di insorgenza del sovraccarico del rachide producendo modelli biomeccanici volti a schematizzare il sistema osteo-muscolo-legamentoso alla base del funzionamento della colonna. Questi sono delle semplificazioni del complesso funzionamento del corpo umano inteso come sistema di leve in cui le forze sterne, i muscoli e gli altri tessuti molli agiscono come potenze e resistenze e le articolazioni come fulcri.

I modelli possono presentare gradi diversi di complessità, a partire da quelli statici monodimensionali per arrivare a quelli dinamici tridimensionali, e mettono in luce come il carico agente sui dischi intervertebrali sia variabile e strettamente collegato alla posizione assunta e all’attività eseguita dal soggetto. A titolo di esempio è possibile valutare il carico agente sul disco posto tra le vertebre L3-L4 in un soggetto di 70 kg in differenti condizioni (Tab. 1). Statisticamente quindi i rischi prevalenti sono evidenziabili nella movimentazione manuale di carichi, nella trasmissione di vibrazioni, nell’assunzione di posture incongrue e nell’esecuzione di torsioni del tronco e movimenti ripetitivi degli arti superiori (Fig. 2).
Analizzando i carichi massimi sostenibili a livello lombare è possibile identificare due limiti: l’“action limit”, corrispondente a 350 kg, al di sotto del quale non è necessario prevedere alcuna misura cautelativa e il “maximum permissibile limit”, corrispondente a 650 kg, che invece non deve essere superato in alcuna condizione. Per valori di carico compresi tra questi limiti è possibile prevedere differenti livelli di prevenzione, come l’impiego di strumenti ergonomici e il controllo clinico dei lavoratori.
Gli studi effettuati in quest’ambito sono quindi volti a verificare la tollerabilità di una postura nei tempi e luoghi in cui essa viene adottata, definendola come tollerabile nel momento in cui non induce sensazione di disagio, fatica o dolore a breve termine e quando non determina l’insorgenza di patologie morfo-funzionali a lungo termine.
Nella pratica non deve essere studiata tanto la singola postura, quanto la serie di posture adottate nell’espletamento di compiti lavorativi complessi tenendo conto anche della loro durata, identificando situazioni in cui l’entità del carico sia la caratteristica prevalente e altre in cui invece il fattore preponderante sia la durata di applicazione dello stesso. È inoltre importante considerare l’interazione con fattori esterni quali per esempio, per una postura assisa, i piani di seduta che imprimono delle forze agenti sull’organismo incrementando i carichi gravanti. Secondo studi accuratamente effettuati è stato individuato in un carico di 80 kg di pressione intradiscale il limite tra la condizione di sottocarico e quella di sovraccarico, da cui deriva la fondamentale nozione secondo cui le condizioni ottimali per il mantenimento discale siano ottenibili con l’alternarsi di situazioni di carico e scarico attorno al valore soglia. Al contrario, periodi prolungati in condizioni di carico o scarico possono favorire processi di degenerazione discale ostacolando il ricambio nutritivo.

Inoltre è importante considerare che il mantenimento prolungato di posture scorrette altera la propriocezione che il nostro organismo ha della colonna identificandole come “normali”. Pertanto nei casi in cui si renda necessario il permanere di una determinata posizione per periodi prolungati, come nei lavori altamente sedentari, è indispensabile tenere conto di alcuni accorgimenti che consentano di sgravare il rachide da carichi costanti, come l’alternare la posizione assisa a momenti di movimento o l’impiego di uno schienale di supporto.
La postazione di lavoro può quindi risultare altamente dannosa qualora non sia considerata secondo criteri ergonomici e non preveda una corretta disposizione delle attrezzature ad essa annesse, costringendo il lavoratore ad assumere posture innaturali e scomode che lo spingano a un affaticamento precoce, calo nel rendimento e maggior rischio di errori.
Appositi test permettono di valutare il carico agente a seconda della serie di posture assunte per l’attività lavorativa. Uno di questi è quello elaborato da SUVA, istituto svizzero per la prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Il test consente la valutazione del carico posturale durante l’attività sedentaria prolungata (posizione assisa) individuando gli scostamenti da quella che viene considerata come la postura corretta, non forzata e naturale, assegnando a tali scostamenti un punteggio e tenendo conto alla fine anche del tempo di mantenimento delle suddette posizioni. Questa valutazione analizza testa, spalle, braccia, gambe e piedi, individuando al termine un valore che indicherà se e in che modo sarà necessario intervenire per ripristinare un assetto corretto. Per ognuno dei segmenti corporei viene individuato lo scostamento della postura assunta rispetto a un assetto corretto riassumibile nelle seguenti caratteristiche: la posizione della testa è leggermente inclinata in avanti e il tronco parallelo al piano di lavoro, le spalle non sollevate, i gomiti e le braccia appoggiati al tavolo, la schiena dritta e appoggiata a uno schienale. Le gambe devono essere libere di muoversi in alto, in avanti e lateralmente senza che le strutture di tavolo e sedie lo impediscano, i piedi devono essere ben appoggiati al pavimento o al poggiapiedi e il bordo della sedia non deve comprimere le cosce.
Dallo sviluppo di test e analisi come quello appena descritto risulta evidente come uno scostamento dalle condizioni posturali considerate corrette conduca al manifestarsi di disfunzioni e alterazioni che possono sfociare in vere e proprie patologie coinvolgenti primariamente il rachide ma spesso estese ad altri segmenti corporei. Queste dovrebbero essere attentamente prevenute sia per il mantenimento del benessere fisico sia per le ricadute a cui conducono, per esempio in termini di limitazioni nelle attività lavorative, in decadimento della concentrazione durante le stesse o nell’incremento di assenteismo dal posto di lavoro causa malattia.

La postura eretta e assisa e problematiche correlate
Essendo il rachide nel suo insieme la base di sostegno per l’intero organismo esso è sottoposto a sollecitazioni variabili e continue sia in ortostasi che in posizione assisa, spesso aumentate da posture non fisiologiche assunte dall’individuo. Sulle vertebre, in particolar modo a livello lombare, grava un carico derivante dalla maggior parte del peso corporeo a cui si aggiunge il risultato dell’azione di potenti muscoli attivi nella deambulazione e nel mantenimento tonico-posturale del tronco. Queste forze convergono in modo evidente a livello della cerniera lombo-sacrale, importante punto di vincolo in cui al peso corporeo si aggiunge la resistenza del suolo allo stesso manifestando la funzione antigravitaria indispensabile per il sostenimento e il movimento del soggetto. In questo sistema il sacro si trova tanto più bloccato tra le ali iliache quanto maggiore è il carico agente ed è importante notare come la posizione assunta da quest’osso è alla base delle curvature espresse dai diversi segmenti del rachide.
Risulta così fondamentale definire i movimenti operati dal sacro in risposta alle forze che vi agiscono e che coinvolgono l’intera cintura pelvica andando di conseguenza a influire sulle porzioni più craniali dell’organismo.

Nel movimento di nutazione il sacro ruota attorno a un asse rappresentato dal legamento assile, portando la base a muoversi in avanti e in basso e la punta a spostarsi indietro e verso l’alto trascinando con se il coccige. Come conseguenza a questo movimento le ali iliache tendono ad avvicinarsi e le tuberosità ischiatiche ad allontanarsi. Il movimento di contronutazione esprime i movimenti opposti portando la base del sacro a muoversi indietro e vero l’alto e la punta a spostarsi in avanti, le ali iliache ad allontanarsi e le tuberosità ischiatiche ad avvicinarsi (Fig. 3).
In posizione eretta il peso del corpo va a concentrarsi sulla superficie superiore della base del sacro, spostandola in avanti e verso il basso e sollecitando in questo modo l’osso nel senso della nutazione, ben presto limitata dall’azione dei legamenti sacro-iliaci, per questo motivo definiti anche freni di nutazione.
Contemporaneamente la reazione al peso corporeo proveniente dal suolo viene trasmessa dai femori all’articolazione coxo-femorale portando a una posizione del bacino che incrementa ulteriormente la nutazione del sacro.
Questo movimento porta la faccia superiore del sacro a orientarsi con un’angolazione maggiore ventralmente, che comporterà una uguale variazione della posizione della quinta vertebra lombare che vi si appoggia direttamente. Trasmettendo la postura alle vertebre più craniali si opererà quindi un incremento della curvatura lordotica lombare.
In posizione di ortostasi questa è ulteriormente enfatizzata dall’azione dei muscoli dorsali del tronco attivi per il mantenimento della postura eretta, contrastando il fisiologico sbilanciamento in avanti che altrimenti si evidenzierebbe. Si può pertanto affermare che il mantenimento della postura eretta per periodi prolungati ha un effetto iperlordizzante a livello del rachide lombare, il quale tenderà ad essere compensato a livello dorsale con un accentuazione della curvatura cifotica. È evidente come una deviazione delle curvature sul piano sagittale comporti delle alterate sollecitazioni dei dischi intervertebrali che tenderanno a comprimersi in modo non proporzionale, portando il nucleo polposo in essi contenuto a spostarsi e inducendo compressioni radicolari che possono condurre a fenomeni algici. Questi saranno conseguenti non solo al carico espresso analizzato istantaneamente ma anche alla persistenza dello stesso e alla sequenza di posture assunte dall’individuo durante l’effettuazione di specifiche azioni, evidenziando come una sollecitazione, che di per sé per entità non sarebbe causa di problemi a livello del rachide, può invece causarne di rilevanti se mantenuta per periodi prolungati o in combinazione per la realizzazione di movimenti scorretti. Questo sottolinea come una postura altamente statica sia di fatto più dannosa per il rachide rispetto a una dinamica, in cui i carichi non vengono ripartiti costantemente sugli stessi punti, anche in conseguenza del fatto che l’apparato propriocettivo del nostro organismo arriva a considerare “normali” posture errate se queste vengono mantenute per periodi di tempo prolungati.

Questi fattori devono naturalmente essere considerati anche nell’analisi della posizione assisa che, se da un lato può portare il peso del corpo a gravare in modo minore sul rachide, dall’altro è spesso foriera di posture scorrette e mantenute per periodi molto prolungati nel tempo, con conseguente strutturazione propriocettiva delle stesse (gran parte della giornata tipo della maggior parte delle persone è trascorsa in posizione seduta). Inoltre risulta indispensabile la valutazione del rapporto tra soggetto e piano di seduta e schienale in quanto i differenti atteggiamenti che l’individuo può manifestare in relazione ad essi determinano posture che alterano in modo inequivocabile gli assi di carico, enfatizzando l’allontanamento dalle curvature fisiologiche dei diversi segmenti della colonna (Fig. 4).
In una posizione assisa con appoggio ischiatico senza appoggio per il dorso, l’intero peso del corpo grava sull’ischio, portando il bacino a un equilibrio instabile sollecitato verso l’antiversione che comporta un’iperlordosi lombare con compenso dato dall’accentuazione delle curvature dorsali e cervicali (Figg. 5, 6).
L’appoggio ischio-femorale porta il tronco ad essere inclinato in avanti e il peso corporeo a essere ripartito tra tuberosità ischiatiche e superficie posteriore delle cosce, accentuando la cifosi dorsale e raddrizzando la lordosi lombare. Se gli arti superiori sono in appoggio su quelli inferiori o su un piano il tronco si mantiene stabile con il minimo sforzo muscolare. In appoggio ischio-sacrale il tronco reclinato all’indietro si appoggia allo schienale e il peso corporeo viene distribuito prevalentemente tra tuberosità ischiatiche e faccia posteriore di sacro e coccige, il bacino è portato in retroversione e la lordosi lombare è raddrizzata mentre viene molto enfatizzata la cifosi dorsale. Essendo quest’ultima posizione spesso mantenuta per periodi prolungati da una grande quantità di persone costrette a trascorrere svariate ore sedute, è evidente come l’inversione della lordosi lombare e la cifotizzazione del rachide dorsale rappresentino uno dei punti cardine da cui deriva una buona parte degli scompensi posturali e delle relative sintomatologie algiche (lombalgia in testa).

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La postura dell’igienista dentale
È chiaro come le principali patologie occupazionali di origine ergonomica siano strettamente correlate alle esigenze posturali delle differenti professioni, soprattutto per quelle che richiedono specifici accorgimenti per il mantenimento prolungato di posizioni non fisiologiche, l’impiego di strumentazioni dedicate o lo stress di funzioni muscolari o sensoriali (per esempio della vista).
Per quanto riguarda l’esercizio della professione dell’igienista dentale, in condizioni comuni il professionista è in una posizione neutrale con un buon accesso, dove l’illuminazione e la visibilità contribuiscono a un’efficace procedura.
Il paziente è posizionato in modo da facilitare il lavoro del professionista, permettendo così una seduta efficace e breve nel tempo e creando una stretta relazione tra la posizione assunta dai due soggetti.
È comunque importante ricordare che la posizione assunta dal paziente è mantenuta per un tempo relativamente breve, se comparata a quella dell’operatore che invece è la stessa per tutta la giornata lavorativa. È però bene ricordare che gli effetti positivi di una ideale condizione lavorativa per il professionista non ricadono esclusivamente sulla salute di quest’ultimo ma, facilitando il suo operato, conducono a risultati migliori e quindi a un reale beneficio anche per il paziente.
L’assunzione di una corretta postura durante l’esercizio della professione pertanto consente di:
– contribuire a preservare la salute, sicurezza, e il benessere del professionista;
– contribuire a facilitare e rendere efficace la seduta, incoraggiando la collaborazione del paziente;
– ridurre lo sforzo per periodi prolungati per mantenere al massimo l’efficienza terapeutica;
– limitare l’affaticamento sia fisico che mentale;
– offrire al paziente un senso di tranquillità, fiducia e sicurezza;
– gestire al meglio il paziente con esigenze speciali.

Il mantenimento di una corretta postura lavorativa permette quindi una buona funzionalità biomeccanica dell’intero corpo durante tutte le attività, che si tradurrà per il professionista nel raggiungimento di un equilibrio psicofisico a totale beneficio suo e del paziente sottoposto a trattamento.
Al contrario, il non rispettare i principi di una postura ottimale potrà condurre il professionista ad avvertire un disagio dovuto allo sforzo professionale che potrà tradursi non solo in una ridotta e/o compromessa attività lavorativa, ma anche riflettersi nella vita quotidiana. Come per la maggior parte delle patologie professionali di natura posturale, il segmento corporeo maggiormente coinvolto è il rachide, asse portante e funzionale dell’intero nostro organismo. Per questo motivo la posizione ideale durante l’esercizio è volta a preservare le corrette curvature della colonna, sia a livello cervicale e dorsale che a livello della lordosi lombare, dove il prolungato mantenimento di posture non corrette può facilmente sfociare in patologie altamente invalidanti come lombalgie e lombosciatalgie croniche.

Inoltre, essendo per l’igienista fondamentale una completa e accurata visione del campo operatorio è necessario il mantenimento di un’inclinazione anteriore del capo che è sufficiente rimanga compresa tra i 15 e i 20 gradi, evitando tensioni muscolari del collo e affaticamenti visivi (Fig. 7).
Questo faciliterà il mantenimento di una posizione delle spalle allineata con i fianchi e il pavimento, dei gomiti con il resto del corpo e di avambracci e polsi su una linea retta.
Il peso del corpo deve essere distribuito uniformemente sullo sgabello mantenendo uno spazio di circa 3 cm tra il bordo del sedile e il cavo popliteo delle ginocchia, le quali devono rimanere leggermente distanziate e con i piedi ben appoggiati al pavimento.
Il mantenimento di una corretta postura da parte dell’operatore è naturalmente dipendente alla posizione relativa da lui assunta nei confronti del paziente: la cavità orale di quest’ultimo deve infatti trovarsi all’altezza del gomito del professionista anche se in la posizione realmente mantenuta è di fatto condizionata dalle reali possibilità di accesso alla cavità orale stessa (Fig. 8).
Analizzando così la posizione del professionista attorno al paziente come se fosse rappresentata sul quadrante di un orologio con il paziente stesso al centro, l’orientamento del professionista destrorso nelle procedure cliniche sarà associata alle ore comprese tra le 8.00 le 13.00, mentre il professionista mancino sarà posizionato nello spazio compreso tra le ore 11.00 e le 16.00. Il campo operativo è centrato intorno alla cavità orale del paziente, dove per campo operativo si intende la poltrona odontoiatrica con il paziente, il riunito e il servo mobile contenente lo strumentario, il quale consente una rapida accessibilità agli strumenti di lavoro. L’essenziale per l’accesso e la visibilità durante il trattamento terapeutico è dato da una flessibilità di movimenti dello sgabello del professionista, da un’adeguata illuminazione rinforzata dall’utilizzo di un ingrandimento. È pertanto chiaro come la corretta strumentazione impiegata dal professionista possa influenzare ampiamente la postura da lui assunta durante il trattamento del paziente.

Principali patologie occupazionali per l’igienista dentale
Lo svolgimento dell’attività di igienista dentale richiede necessariamente il doversi confrontare quotidianamente con alcuni aspetti ergonomici e posturali legati alla posizione mantenuta durante le fasi operative, alla strumentazione utilizzata e alle sequenze di movimenti richieste che, se non affrontate con i giusti accorgimenti, possono dare origine a diverse forme di patologie prevalentemente muscolo-scheletriche.
Ne sono affetti con modalità differenti sia gli arti superiori, che quelli inferiori, che il rachide attraverso disturbi che possono essere prevenuti e trattati con soluzioni dedicate.

Arto superiore
Le patologie che possono affliggere l’arto superiore sono prevalentemente relazionate alla strumentazione utilizzata, non sempre sufficientemente attenta alle esigenze ergonomiche dell’utilizzatore e all’esecuzione di movimenti ripetuti o scomodi.
In definitiva i principali fattori scatenanti l’insorgere di patologie occupazionali degli arti superiori sono:
– ripetitività dei movimenti;
– frequenza dei movimenti;
– forza applicata;
– postura mantenuta;
– pause (tempo di recupero).

Lo sviluppo di specifici studi ha condotto alla progettazione di soluzioni strumentali dotate di caratteristiche particolarmente attente alle esigenze ergonomiche del lavoratore, consentendo così la riduzione dell’insorgenza di patologie, per esempio relazionabili a una non corretta o faticosa impugnatura grazie all’impiego di forme e materiali tecnologicamente molto accurati.
Ciò non è però sufficiente a eliminare completamente la possibilità di insorgenza di patologie quali quelle elencate di seguito (Tab. 2).
Sindrome del tunnel carpale: compressione del nervo mediano a livello del retinacolo dei flessori nel canale carpale. È solitamente causata da microtraumi ripetuti, patologie infiammatorie tendinee, movimenti del carpo ripetuti con elevata frequenza, edemi o deformità ossee, comportando deficit sensoriali e motori nel corrispondente territorio di innervazione. Il trattamento di elezione prevede solitamente l’impiego di appositi tutori di immobilizzazione del carpo in posizione antalgica costituiti da un bracciale in tessuto traspirante con una o più stecche modellabili (solitamente in alluminio) sul lato ventrale del carpo, volte al mantenimento dello stesso nella posizione desiderata sulle specifiche esigenze del singolo utente (Fig. 9).
Tendinite dei flessori delle dita della mano: patologia infiammatoria tendinea del comparto ventrale del carpo e della mano che può sfociare, oltre che in una sintomatologia algica rilevante, in limitazione funzionale e varianti patologiche come “dita a scatto”. Anche in questo caso la tutorizzazione può essere eseguita per mezzo di appositi bracciali steccati di rigidità differenti a seconda delle esigenze dell’utente e delle sue caratteristiche anatomiche. Possono o meno comprendere il contenimento dedicato per il pollice a seconda della presenza o meno di sintomatologie concentrate a livello del primo raggio (per esempio sindrome di De Quervain). Epicondilite: patologia infiammatoria tendinea comunemente nota come “gomito del tennista”, comporta dolore e gonfiore del gomito causato solitamente da attività (professionali o sportive) comportanti movimenti o microtraumi ripetuti a carico di questa articolazione. Il trattamento di elezione è ortesico e prevede l’impiego di appositi tutori costituiti da una bracciale, solitamente dotato di cuscinetti pressori (in schiuma, gel o ad aria), il quale deve essere stretto in prossimità dell’inserzione tendinea infiammata nella regione immediatamente distale all’articolazione omero-ulnare. Tale pressione ha la funzione di “scaricare” l’inserzione tendinea stessa consentendo il rientro della condizione infiammatoria (Fig. 10).

Tendinite della cuffia dei rotatori: patologia infiammatoria dei tendini della cuffia dei rotatori causata da traumi, movimenti ripetuti con eccessiva frequenza o dalla naturale degenerazione dei tessuti con il progredire dell’età del soggetto. Causa dolore intenso e diffuso all’articolazione della spalla, spesso anche a riposo e limitazione nei movimenti dell’arto superiore con relativa debolezza muscolare. Il trattamento ortesico prevede l’impiego di appositi tutori di spalla volti al mantenimento a riposo dell’articolazione solitamente costituiti da una tasca reggibraccio con eventuale cuscino di abduzione a gradazioni differenti. Una delle principali cause comportanti lo scaturire di patologie occupazionali nella professione dell’igienista dentale è data dal mantenimento di una non corretta distanza di lavoro.
La maggior parte dei professionisti asserisce di ottenere una buona visibilità a una distanza dalle proprie mani di 25-30 cm, che può però ridursi anche a 15 cm in caso vi siano esigenze di particolare precisione visiva. A questo scopo una migliore visibilità del campo operatorio può essere assicurata dall’impiego di strumenti specifici che consentono la visione di dettagli anche minimi pur mantenendo una distanza di lavoro adeguata. Si tratta di sistemi binoculari di ingrandimento (occhiali ingranditori) che hanno lo scopo di permettere una migliore visione dei dettagli, incrementando la qualità del lavoro svolto e riducendo i tempi operatori e l’affaticamento visivo. Una distanza di lavoro ridotta comporta infatti l’insorgenza di stress muscolo-articolari sia a livello del rachide lombare che cervicale inducendo così la comparsa di patologie quali quelle elencate di seguito (Tab. 3).

Cervicalgia: dolore muscolo-tendineo prevalentemente di tipo infiammatorio in sede cervicale comportante sintomatologia dolorosa diffusa e nei casi più gravi nausea e vertigini. Il trattamento ortesico può essere eseguito nei casi più conclamati attraverso appositi collari morbidi che, se da un lato stabilizzano e supportano il rachide cervicale, dall’altro limitano notevolmente la sua mobilità.
Lombalgia: sindrome dolorosa muscolare in sede lombare dovuta prevalentemente al mantenimento abituale di posture comportanti deviazioni dalle normali curvature del rachide sul piano sagittale. Spesso si configura in un quadro di iperlordosi relazionato a un sensibile incremento dell’angolo sacrale rispetto ai fisiologici 32° di inclinazione anteriore. Questo può condurre a compressioni radicolari ai livelli superiori (nella maggior parte dei casi in corrispondenza delle due ultime vertebre lombari) conseguenti a protrusioni discali o ernie. I prodotti volti al trattamento ortesico di tale condizione sono molteplici, appartenenti alla famiglia dei corsetti e possono presentare caratteristiche di supporto differenti a seconda delle esigenze del soggetto: un tutore più rigido condurrà a un supporto maggiore ma vincolerà maggiormente il movimento, uno più dinamico avrà un comportamento più elastico assecondandolo in maniera più consona ma offrendo un supporto inferiore (Fig. 11). Protrusioni discali ed ernie: si tratta della fuoriuscita del nucleo polposo di uno o più dischi intervertebrali dall’anulus fibroso che fisiologicamente lo circonda con conseguente compressione delle radici nervose limitrofe. Tale quadro si manifesta abitualmente in sede lombare (L4-L5, L5-S1) e cervicale; associato a una lombalgia può facilmente condurre a una lombosciatalgia, attualmente la prima causa di assenteismo dal posto di lavoro con evidenti conseguenze sociali ed economiche.

Arti inferiori
Anche la posizione degli arti inferiori può comportare l’emergere di patologie occupazionali invalidanti, spesso relazionate comunque alla complessiva condizione del rachide lombare. A questo proposito risulta fondamentale per l’operatore l’impiego di una corretta seduta che consenta allo stesso tempo una buona stabilità associata alla libertà di movimento attorno al paziente, utilizzando per questo accorgimenti ergonomici attenti alle esigenze operative del professionista.
In questo senso negli ultimi anni sono state sviluppate soluzioni volte alla tutela del comfort e della salute del lavoratore durante l’esercizio della sua attività, attribuendo alla seduta (seggiolino, Fig. 12) il compito di sostenerlo nel pieno rispetto della sua conformazione anatomica e di assecondare nel miglior modo possibile i movimenti che lo stesso deve abitualmente svolgere attorno al paziente per tutta la durata del proprio intervento.
Per questo motivo un seggiolino attentamente progettato deve necessariamente tenere conto di alcuni aspetti quali:
– mantenimento di un angolo di flessione dell’articolazione del ginocchio pari o superiore a 110°;
– supporto lombare per mezzo di un apposito schienale correttamente posizionato;
– mantenimento di una distanza di lavoro pari a circa 35-40 cm;
– mantenimento di un’inclinazione anteriore del capo non superiore a 25°.

Elementi di fondamentale importanza sono inoltre rappresentati dalla presenza di superfici di appoggio adeguatamente conformate per il supporto anatomico del professionista e la possibilità di eseguire le opportune regolazioni (per esempio relativamente all’altezza da terra del piano di seduta) per meglio adattare il prodotto alle esigenze antropometriche dello specifico utente.
Spinte dalla necessità di rispondere alle esigenze di un gran numero di professionisti che nel corso della propria carriera incorrono con sempre maggiore frequenza in patologie occupazionali di origine posturale, le aziende produttrici hanno da anni iniziato un processo di sviluppo di soluzioni dedicate sempre più attente ai minimi dettagli ergonomici, dando vita a linee di prodotto innovative e raffinate sia da un punto di vista tecnico che del design.
Un esempio emblematico è offerto dal sistema di seduta “Kikka active chair” che, proponendo una seduta basata su una forma semisferica deformabile ed elastica, punta alla stimolazione propriocettiva del sistema tonico-posturale e a evitare il mantenimento di posizioni assise statiche eccessivamente prolungate nel tempo. L’utilizzo di tale sistema è però a nostro avviso da considerarsi ideale se per periodi non eccessivamente prolungati, in modo da non sollecitare eccessivamente i sistemi di gestione dell’equilibrio e la muscolatura ad essi connessa (Fig. 13).

L'articolo è stato pubblicato in forma ridotta sul numero 12 di Dental Tribune Italy

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