MELBOURNE, Australia/MANCHESTER, UK - Ogni anno viene lanciato sul mercato un gran numero di nuovi impianti dentali con la promessa di miglioramenti clinici, ma una indagine dei ricercatori del Cochrane Oral Health Review Group di Melbourne e di Manchester ha però suggerito di recente che in termini di successo a lungo termine, non c’è differenza per forma d’impianto o per materiale utilizzato.
I ricercatori hanno esaminato i risultati di prove cliniche condotte in tutto il mondo su impianti presi a caso avvalendosi del proprio archivio. Un’unica differenza statisticamente significativa emersa riguarda la preparazioni delle superfici: quelle lisce sono risultate meno inclini alla perdita d’osso e a conseguenti perimplantiti, rispetto a quelle ruvide.
Dall’analisi emerge, tuttavia, che le superfici lisce sembrano più spesso fallire prima. Risultati simili erano già stati segnalati dal Gruppo di studio in una serie di precedenti indagini, tra cui la prima venne pubblicata nel 2002. Nell’aggiornamento più recente, gli autori hanno esaminato singolarmente 38 differenti tipi di impianto analizzati in 27 sperimentazioni, coinvolgendo più di 1.500 pazienti, a partire dai primi anni Ottanta fino all’inizio del 2014.
Benché la loro relazione non abbia fornito prova che un tipo di impianto sia superiore in termini di successo nel lungo termine rispetto ad altri caratterizzati da caratteristiche diverse, gli autori hanno tuttavia dichiarato che i risultati sono da valutare con cautela dato il ridotto numero dei partecipanti all’indagine e periodi di follow-up brevi, varianti da uno a 10 anni.
«Un ben noto punto debolezza di questo genere di analisi che coinvolge vari piccoli studi è che non può prevedere i risultati conseguenti ad una ricerca più ampia» dice a tal proposito Stefan Holst, responsabile dell’Area Ricerca e Scienza della Nobel Biocare, uno dei leader mondiali in implantologia dentale. «Con 38 diversi tipi di impianti dalle geometrie, superfici, sovrastrutture protesiche altamente diversificate e con differenti protocolli clinici applicati, alcuni dei quali caduti in disuso, sono diverse le variabili da tenere in conto. Un analisi di questo tipo contribuisce infatti a travisare i potenziali effetti di una superficie implantare significativa o di una caratteristica dell’impianto».
Un portavoce della Straumann ha anche messo in guardia dai risultati dell’indagine dicendo che è messa in forse dall’esserci pochissimi (in alcuni casi nessuno) dati clinici pubblicati sulla maggior parte degli impianti dentali in commercio, non essendo stati tutti clinicamente testati. Ha inoltre sottolineato il fatto che tra tutti gli impianti in commercio solamente 38 sono stati giudicati degni di esser presi in considerazione dopo esser stati testati in studi clinici randomizzati.
«Per quanto riguarda i nostri impianti, l’indagine ha escluso ricerche che noi ed anche altri, riteniamo di grande interesse. Inoltre, non ha considerato l’ampio numero di test e indagini pre-cliniche che in alcuni casi mostrano differenze significative» lo stesso esponente Straumann ha recentemente dichiarato a Dental Tribune Online. Secondo la Cochrane, sul mercato oggi ci sono più di 1.300 diversi impianti dentali disponibili ed il loro valore totale è stato stimato a 3,4 miliardi di dollari nel 2011. Gli esperti prevedono che raddoppierà nei prossimi cinque anni, grazie anche alla crescente domanda proveniente da una popolazione in via di invecchiamento e all’incremento di dentisti che li adattano.
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