Sulla possibilità di “udire” attraverso la lingua abbiamo sentito il parere di Guido Bongioannini, apprezzato specialista di ORL.
«La grave ipoacusia e l’anacusia con la conseguente dislalia audiogena – dice – sono sempre state oggetto di interesse da parte dei ricercatori. Dalla lettura labiale, passando per le protesi auricolari si è arrivati agli impianti cocleari, i quali hanno radicalmente cambiato la qualità di vita dei pazienti portatori di sordità gravi o profonde. Come è noto l’impianto cocleare stimola elettronicamente le fibre nervose nell’orecchio interno permettendo all’individuo la percezione dei suoni. La maggior parte degli utilizzatori può sentire la musica o partecipare attivamente a conversazioni, anche in situazioni difficili di ascolto. Gli impianti cocleari – continua – sono utilizzati con successo in oltre novanta Paesi in tutto il mondo, negli adulti e in età pediatrica, risultando efficaci sia in casi di sordità pre-linguale sia post-linguale».
Bongioannini indica alcune linee guida indicative:
«L’impianto cocleare è particolarmente indicato in giovane età per permettere un regolare sviluppo del linguaggio, inoltre la ricerca ha dimostrato che i migliori risultati si ottengono nei bambini impiantati precocemente. I bambini più grandi e gli adulti ipoacusici post-linguali hanno maggiore giovamento con la riabilitazione uditiva funzionale mediante impianto cocleare piuttosto che con la protesizzazione acustica. Un lungo periodo di perdita uditiva profonda può limitare i vantaggi di un impianto cocleare».
«I migliori candidati ad un impianto cocleare – dice lo specialista – sono:
- Bambini con ipoacusia neurosensoriale grave o profonda bilaterale. L’età minima per l’impianto può essere di pochi mesi di vita;
- Adulti con ipoacusia neurosensoriale grave o profonda bilaterale;
- Pazienti che ricevono scarsi benefici dall’utilizzo delle protesi acustiche;
- Pazienti che hanno la disponibilità a partecipare ai lunghi e impegnativi programmi di riabilitazione e ai controlli di follow-up».
«Fatte queste doverose premesse relativamente all’indiscutibile significato riabilitativo espresso dall’impianto cocleare – osserva ancora Bongioannini – , restano indubbiamente da considerare le problematiche inerenti l’invasività dell’intervento chirurgico necessario (anche se al presente codificato secondo parametri che si avvicinano al microtraumatismo) e naturalmente ai costi. Sotto questo punto di vista lo studio condotto da J. Williams, L. Stone-Roy e J.J. Moritz a Fort Collins (Colorado, USA) presenta aspetti molto interessanti, specialmente nei casi in cui il paziente non possa essere candidato per vari motivi ad un impianto cocleare. In questa fase preliminare ritengo che l’attenzione dei ricercatori vada effettivamente concentrata prima di tutto sulla “mappatura” qualitativa e quantitativa dei recettori degli impulsi elettrici a livello della lingua, non essendoci una stimolazione diretta delle strutture neurosensoriali uditive deputate come avviene nell’impianto cocleare».
«Secondariamente l’adattamento del device a livello del cavo orale dovrà essere effettivamente valutato come “universale” o “personalizzato” con intuibile ripercussione sui costi. Anche il percorso riabilitativo dovrà essere studiato ed applicato in maniera particolarmente attenta e richiederà personale con professionalità dedicate a questo tipo di dispositivo. Sarà inoltre importante valutare quale potrà essere l’età minima dei candidati all’utilizzo di questa metodica, sempre ricordando che più precocemente inizia la riabilitazione migliori saranno i risultati ottenuti. Sicuramente – conclude Bongiovannini – la ricerca scientifica in generale, ma in questo caso in particolare si avvale dei continui progressi della bioingegneria e delle biotecnologie applicate alle neuroscienze».
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