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“Pendolarismo odontoiatrico? Sì, ma di ritorno”

Massimo Boccaletti

Massimo Boccaletti

mer. 4 maggio 2011

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Pendolarismo low cost, turismo odontoiatrico, paradisi dentali e odontoiatria di frontiera…, espressioni analoghe entrate da qualche tempo nel linguaggio e nell’immaginario collettivo. Richiamano alla mente consistenti flussi di pazienti diretti ad esotici lidi odontoiatrici, dove il trattamento, seppur in primo piano, appare in genere abbinato a servizi turistici accessori a formare un “pacchetto” dove al cospicuo sconto sul passaggio aereo si accompagna l’assistenza dell’interprete e altre tradizionali “utilities”, quasi si trattasse non di una circostanza terapeutica, ma di una vacanza relax. Su questo specifico tema, abbiamo consultato un prestigioso collaboratore di Dental Tribune, Franco Tosco, prendendo lo spunto dall’intervento svolto a un recente congresso presso la Camera di Commercio di Torino.

A che punto è il fenomeno del cosiddetto “turismo odontoiatrico low cost”? La prima osservazione che scaturisce da un tale interrogativo è che – dati i tempi di crisi e gli evidenti sforzi di molti Studi di mantenere le posizioni – il flusso di pazienti verso (soprattutto) i Paesi dell’Est, veri “paradisi dentali” e meta di allettanti evasioni turistiche, dovrebbe essersi accentuato. Come dovrebbe aver avuto incremento il cosiddetto “pendolarismo odontoiatrico”ossia l’andirivieni oltreconfine di pazienti italiani residenti in zone, come il Veneto o il Friuli, ad un tiro di schioppo dagli accoglienti Studi dentistici della ex Yugoslavia.
In realtà, e qui sta la sorpresa, sembra che un pendolarismo ci sia, ma che avvenga proprio al contrario: ossia dai “paradisi dentali” verso l’Italia, sulla spinta di una nomea diffusa e del tutto giustificata, e cioè che i professionisti italiani sono di qualità. Al punto che il ricorso alle loro cure, oltre ad un’ottima scelta terapeutica, comincia a costituire addirittura uno “status symbol”.
Così almeno ha affermato, non senza sorpresa dell’uditorio, Franco Tosco, titolare della Lessicom (www.lessicom.it), oltreché apprezzato consulente di gestione, nel suo intervento a un recente congresso presso la Camera di Commercio di Torino.
Tosco aderisce volentieri alla richiesta di approfondire quell’affermazione, che in un primo momento sapeva francamente di “boutade”. Dopo aver ricordato che l’espressione “pendolarismo odontoiatrico” è da ricollegarsi soprattutto a un articolo che fece scalpore uscendo tempo fa su Il Corriere della Sera a firma di un apprezzato giornalista, passa ad enumerare le cifre del fenomeno che, da sole, dovrebbero tranquillizzare i professionisti già in allarme per la sindrome della “poltrona vuota”.
“Anche ipotizzando colonne di autobus zeppi di persone con la faccia gonfia che tutti gli anni si recano all’estero, facciamo 2000 all’anno, essi costituirebbero lo 0,0033 periodico a fronte di 60 milioni di cittadini del nostro Paese. Se invece fossero 10.000, costituirebbero lo 0,0166. Percentuali simili – osserva Tosco – dovrebbero forse mettere in crisi una categoria di professionisti per unanime riconoscimento tra i migliori al mondo? Ma anche ammettendo che tali cifre siano realistiche e non francamente esagerate, come appare con tutta evidenza, chi sarebbero ‘quelli della faccia gonfia diretti all’estero?’ Non certo chi segue con attenzione la salute del cavo orale – dice Tosco –, chi ha un colloquio costante col clinico, si sottopone ai suoi controlli e ne segue le direttive. Non avendo compreso l’importanza di avere un rapporto di conoscenza diretta con il medico, costui sceglie di esser curato da una persona che ha la targa “odontoiatra” sull’uscio: uno vale l’altro, purché costi meno. Non nego il fatto fisiologico – aggiunge il consulente – nego, invece, che sia un fenomeno dirompente”.
A questo punto resta solamente da spiegare come mai un “fenomeno fisiologico” così ridotto possa assumere una tale rilevanza da diventare addirittura uno spauracchio per la categoria.
“È un problema di sovraesposizione mediatica, sentenzia Tosco. La questione è stata indotta dai mezzi di informazione e regge finché la rilanciano, con un meccanismo che funziona sempre allo stesso modo. Normalmente non si riesce a risalire alla fonte e, nel caso del turismo odontoiatrico, non si producono nemmeno numeri: nessuno sa quanti mettono in atto questa pratica e, soprattutto, chi sono. Da un’iniziale descrizione di un fatto marginale, quindi, si crea il fenomeno e poi lo si racconta finché viene dato come vero dall’immaginario collettivo, attribuendogli le dimensioni, sempre immaginarie, di cui i media hanno a loro volta bisogno per giustificare la descrizione. Un esempio? Un errore, anche grave, commesso da un medico – osserva Tosco – viene titolato come un’ulteriore questione di malasanità: un fatto singolo che diventa fenomeno di categoria”.

 

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