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Pagare tutti per pagare meno

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A. Piccaluga

A. Piccaluga

ven. 19 maggio 2017

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Come ogni anno, a ridosso delle scadenze fiscali, le istituzioni tirano le somme e sono pressoché univoche nel giudizio: il problema dell’Italia è l’evasione. L’affermazione si ripropone quasi a voler giustificare l’opprimente pressione tributaria che di qui a breve i più dovranno affrontare. “Le tasse e le imposte sarebbero decisamente più basse se tutti le pagassero” è il tormentone che viene ciclicamente propinato. Pagare tutti per pagare meno insomma.

Excusatio non petita accusatio manifesta verrebbe da rispondere. Senza bisogno di richiamare le tesi di Milton Friedman, premio Nobel inglese per l’economia che tesseva le lodi dell’attività sommersa italiana ed esortava a demolire invece l’inutile apparato burocratico nostrano, va però detto che questa tesi non trova fondamento.

Se la tesi fosse fondata in questi anni avremmo assistito a una riduzione della pressione fiscale reale. Invece è successo il contrario: l’evasione è diminuita mentre la pressione è aumentata. Dati alla mano l’economia sommersa, secondo l’Istat, è in costante calo. Il tax gap si riduce progressivamente ogni anno. L’Agenzia delle Entrate poi, ha dichiarato ufficialmente che sul fronte del recupero dell’evasione fiscale siamo passati dai 4 miliari e rotti del 2006, prima della crisi insomma, alla cifra record di 17 miliardi di euro del 2016.

Diminuiscono le aziende, falliscono, chiudono, espatriano (basti solo già pensare a società come FCA che portano le loro tasse all’estero) e ciò nonostante il recupero non solo resta immutato ma addirittura cresce in modo esponenziale. Questo indica un prelievo fiscale senza pari e un ridursi verticale dell’evasione in Italia.

Cos’è successo alle tasse nello stesso periodo? Sono scese? No. La pressione fiscale ha raggiunto livelli record. Crescendo anziché ridursi in tempi di crisi. Questo perché mentre si indicava pubblicamente il perfido evasore come origine di ogni male, il recupero dell’evasione fiscale veniva destinato ad accrescere una spesa pubblica oramai fuori controllo.

Pagare tutti per pagare di più, questo è quello che è successo. Certo le tesi che rimbalzano i media sono suggestive. Per cui siamo indotti effettivamente a ritenere vi sia qualcosa di concreto nella martellante propaganda anti evasiva. Sentire in televisione che ci sono attività commerciali che dichiarano “in media” diecimila euro anni o anche meno, fa ribollire il sangue ad ogni animo giustizialista.

Ma esaminiamo un attimo questi dati così impropriamente, e forse maliziosamente, diffusi alle masse. L’Italia ha un vero e proprio esercito di partite iva. Molte più da noi, che nella ricchissima Germania. Più del doppio per essere ancor più chiari. Un surplus che si calcola in milioni di individui.

Il che, ovviamente, non ha senso. E lo si deve al fatto che non siamo particolarmente ricchi di spirito imprenditoriale, ma che piuttosto da noi tutti coloro che non trovano un lavoro ripiegano su attività autonome più o meno raffazzonate. Sono lavoratori che spesso si presentano in ufficio come i dipendenti, ma che vengono pagati con il saldo della fattura.

Queste false partite Iva si calcola siano oggi almeno 400mila. E guadagnano poco, molto poco. Secondo i dati Inps, mediamente 723 euro mensili. Se già questo non bastasse, va ulteriormente considerato che nei calcoli diffusi alle masse vengono poi sommati i redditi di coloro che aprono e chiudono in corso d’anno. Mediamente chiudono quattro attività commerciali ogni ora. E ogni tre ore due imprese dichiarano fallimento. Sono centinaia di migliaia ogni anno.

Nel conteggio dei redditi medi propinati in televisione ovviamente rientrano quindi anche queste imprese. Imprese che se falliscono chiaramente non navigavano nell’oro. Anzi avranno probabilmente valori negativi. E qual è la media aritmetica tra una perdita di 20 mila euro ed un utile di 30 mila euro? Dati chiaramente inattendibili.

Contestualmente altre imprese aprono in corso d’anno. Ma appena aperte difficilmente avranno utili ragguardevoli. Nella maggior parte dei casi non ne avranno. Ad esempio un’impresa che apra a dicembre 2016 e dichiari un utile di 3.000 euro ha in realtà un ottimo margine, perché lo deve rapportare ad un solo mese, ma inserendola nella media totale annua… falsa ovviamente i dati.

In ultima analisi ci sono anche quelle imprese che, solide e stabili, affrontano in corso d’anno una pressione fiscale abnorme. Gli utili medi che si dichiarano in televisione sono infatti già al netto degli stipendi erogati a dipendenti ed amministratori ed ovviamente al netto delle tasse locali. Il fatto che un piccolo bar di periferia dichiari un utile di 10.000 euro l’anno dopo aver pagato gli stipendi a tutti, tutte le bollette, gli acquisti e le tasse locali., è assolutamente sensato. Purtroppo.

Se a quella stessa attività venisse chiesto di dichiarare il proprio utile al netto di accise, tasse dehors, tasse pubblicitarie, tasse rifiuti ecc. l’importo sarebbe verosimilmente doppio. Sebbene questo sia chiaro a qualsiasi serio economista, e ovviamente anche ai nostri Ministeri, le istituzioni perseverano in una direzione pericolosa: quella di cercare in un crescente aggravio tributario la soluzione della malagestio pubblica. Un qualcosa che viola ogni criterio economico. E in particolare quanto dimostrato tramite la c.d. “curva di Laffer”.

Esposta al Museum of National Heritage di Washington, si legge così, nelle parole del suo autore: «Le aliquote salgono dallo 0% al 100%. In entrambi questi casi il gettito fiscale è zero. Nel primo caso perché non c'è tassazione, nel secondo perché le tasse si mangiano tutto il reddito e quindi non c'è nessun motivo di produrlo né di lavorare, salvo evadere che è lo stesso ai fini del gettito, zero». Come vedete c'è una curva degli introiti che sale gradualmente al salire delle aliquote.
A un certo punto però s’inverte bruscamente e torna indietro fino a 100, cioè zero. Significa che c'è un punto oltre il quale alzare le tasse diminuisce anziché alzare il gettito. Secondo noi un’aliquota ottimale è intorno al 20-30% per le imprese. Con un'aliquota di 50 si incassa meno che con una di 30".

Insomma continuiamo così e l’evasione tornerà realmente a quei picchi che l’Italia aveva dimenticato da tempo. Ma nel frattempo il tessuto economico sarà oramai irrimediabilmente danneggiato, i migliori talenti espatriati e la spesa pubblica – divenuta colossale e rimasta priva di risorse per sostenersi – collasserà su se stessa.

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