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La clorexidina può creare antibioticoresistenza: che fare?

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P. Visalli

P. Visalli

mer. 22 febbraio 2017

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Secondo un recente lavoro apparso su Antimicrobical Agents and Chemoterapy, rivista dell’American Society for Microbiology, l’uso imponente della clorexidina indurrebbe antibioticoresistenza. In particolare sarebbe la Klebsiella pneumoniae a divenire resistente alla colistina (colimicina), antibiotico usato per la multiresistenza. Secondo questo studio alcuni ceppi di Klebsiella esposti alla clorexidina muoiono, altri sopravvivono a concentrazioni elevate del disinfettante e altri ancora sviluppano resistenza alla colistina.

«Poiché la clorexidina è largamente impiegata in ambito ospedaliero – spiega Mark Sutton del National Infections Service (Public Health, England, Salisbury, GB) – la resistenza può avere ricadute importanti nella prevenzione delle infezioni durante i ricoveri e nel corso d’interventi chirurgici di routine e di emergenza».

Il problema è ancora più ampio se pensiamo che l’uso della clorexidina è largamente diffuso anche in ambito ambulatoriale e odontoiatrico, in particolare. Si potrebbe forse ripensare la sua gestione in termini quantitativi visto che i pazienti sono sempre alla ricerca di un collutorio che elimini la placca e poco avvezzi all’uso di dispositivi come il filo e lo scovolino? Pronti, quindi, a qualunque sciacquo facile e apparentemente innocuo? Sicuramente la strada più facile è quella più seguita da chi non vuole impiegare del tempo nell’igiene orale domiciliare.

L’uso della clorexidina va da pochi giorni, nel caso di chirurgia orale, fino a quello più prolungato come nel caso dell’ortodonzia. L’uso domiciliare è diffuso al pari di quello ospedaliero e ambulatoriale in genere. Ma come rinunciare a uno strumento cosi diffuso nella pratica quotidiana, la cui provata efficacia è dimostrata da numerosi lavori scientifici.

E come si può peraltro ovviare a questa temibile resistenza? Sono numerose le branche specialistiche della medicina in cui la clorexidina viene utilizzata, non ultimo anche in ambito veterinario. Un utilizzo assai più diffuso, quindi, di quello di cui parla lo studio in questione. Tuttavia non è importante solo il “quanto” ma il “come” viene utilizzata la clorexidina.
L’appello è rivolto agli operatori sanitari ai fini della ricerca in ambito odontoiatrico, dove la clorexidina è usata di routine. Sicuramente esistono già ricerche in merito visto che ha effetti secondari come la colorazione brunastra dei denti e della lingua sul lungo termine.

Ci auguriamo che la ricerca spazi nell’ambito della terapia senza esclusione alcuna, come ad esempio, nell’uso degli oli essenziali e dei fitoterapici che pur avendo sempre un’azione di tipo chimico, potrebbero avere minori effetti secondari e soprattutto non interferire con gli antibiotici come la colistina, considerato il farmaco in prima linea contro l’antibioticoresistenza. Del resto la Klebsiella pneumoniae non è un batterio tanto raro e la colimicina non è un antibiotico così datato.

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