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Delitto di falsità ideologica

Antonio Iorio

Antonio Iorio

ven. 21 settembre 2012

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 Cassazione: chi certifica un reddito non vero commette il delitto di falsità ideologica, punito con la reclusione fino a due anni.

 Il privato che nell'autocertificazione dichiara in modo non veritiero di non aver conseguito redditi commette il delitto di falsità ideologica, punito con la reclusione fino a due anni. A precisarlo è la Corte di cassazione, sezione V penale, con la sentenza numero 33218 depositata il 24/8/2012. Nel caso di specia una persona veniva condannata in primo e secondo grado per aver attestato falsamente, in una dichiarazione sostitutiva di certificazione, di aver conseguito redditi pari a zero. In particolare, veniva imputato del delitto previsto e punito dall'articolo 483 del codice penale, in base al quale chiunque attesti falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. A seguito della condanna ricorreva per Cassazione e si difendeva, in buona sostanza, evidenziando che: a) si era trattata di una mera disattenzione e pertanto mancava il dolo richiesto per l'integrazione della condotta delittuosa; b) non sussisteva comunque l'elemento oggettivo del reato contestato, atteso che le dichiarazioni non erano state rese dal privato ad un pubblico ufficiale, nè erano destinate a confluire in un atto pubblico. La Suprema corte ha respinto il ricorso rilevando, innanzitutto, che l'elemento soggettivo (il dolo) nel delitto di falso è escluso tutte le volte che la falsità sia dovuta a semplice leggerezza o negligenza, non essendo previsto nel nostro ordinamento un delitto di falso "colposo". È quindi necessaria la volontà cosciente di compiere il fatto nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero. Nella specie, secondo i giudici di legittimità, non poteva affermarsi una semplice leggerezza o distrazione della persona che aveva reso la dichiarazione, in quanto era ben cosciente di non aver avuto redditi pari a zero, così come autocertificato. Circa la lamentata insussistenza dell'elemento oggettivo, la sentenza evidenzia che l'articolo 483 del codice penale ha vera e propria natura di norma in bianco. Pertanto è richiesta, per la sua definizione, il collegamento con una diversa disposizione che conferisca attitudine probatoria e tutela penale all'atto in cui confluisce la dichiarazione non veritiera, obbligando l'interessato a dichiarare il vero. L'autocertificazione prevista dal Dpr 445/2000 svolge proprio questa funzione di norma integratrice della previsione penale. Essa attribuisce, infatti, efficacia probatoria ai fini amministrativi alle dichiarazioni rese dal privato che consentono di provare i fatti attestati, evitando l'onere di produrre altri documenti, nella specie la dichiarazione dei redditi. In base a tali considerazioni la condanna è stata quindi confermata.

 

Fonte: www.ilsole24ore.com

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