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Rigenerazione dei tessuti molli perimplantari: case report

Impianto in situ, biomaterale eterologo OX Bioteck® in sede. Matrice in collagene inserito nella porzione vestibolare.
A. Leonida, S. Di Meo, G. Todeschini, M. Baldoni

A. Leonida, S. Di Meo, G. Todeschini, M. Baldoni

mer. 20 novembre 2013

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Lo scopo di questo lavoro è proporre, attraverso la presentazione di un caso clinico, una nuova tecnica rigenerativa di tessuti molli contestualmente all’utilizzo di una tecnica implantologica post-estrattiva.

Introduzione
L’implantologia degli anni Novanta è stata caratterizzata da un protocollo chirurgico estremamente rigido per cercare di rendere il più possibile predicibile e ripetibile la terapia implantare.1 Oggi molte parti di questo protocollo sono state modificate e alcuni concetti appaiono quasi in antitesi con quanto sostenuto negli ultimi quindici anni. Se è vero che molteplici fattori concorrono all’ottenimento e al mantenimento a lungo termine dell’osteointegrazione, lo è anche l’ampiezza e l’integrità dei tessuti molli perimplantari. Infatti, molti autori hanno compreso l’importanza di poter disporre per i nostri restauri implanto-protesici (come per i denti naturali con parodonto integro) di un sigillo biologico ben rappresentato, oltre a un parodonto sano.2

Quando esponiamo un impianto e inseriamo un elemento transmucoso l’organismo si sforza di realizzare una barriera meccanica alla penetrazione batterica e la mucosa che circonda l’impianto si ricopre di tessuto cheratinizzato supportato da un connettivo sopracrestale denso di fibre collagene, che decorrono parallele alla superficie implantare mimando la struttura del parodonto.3,2 Come visto, tale struttura viene definita ampiezza biologica. Dal momento in cui questo concetto è stato accettato, e supportato da studi clinici, sono state introdotte alcune tecniche chirurgiche volte ad assicurare la presenza di una banda di gengiva aderente attorno agli impianti, o ad aumentarne lo spessore per ottimizzare la protesizzazione nelle zone estetiche: ne sono esempi la traslazione di gengiva o la tecnica roll-flap. Queste tecniche sopra citate vengono eseguite normalmente in fase di riapertura degli impianti.4-6 La carenza quali- quantitativa dei tessuti molli perimplantari è in genere legata a un deficit osseo nello stesso sito.
Quest’ultima può essere affrontata già al momento del posizionamento dell’impianto, oppure in una prima fase con interventi ricostruttivi rigenerativi volti al ripristino di una normale morfologia ossea.7 Se non si valutano correttamente i parametri clinici iniziali del paziente o non si posiziona correttamente l’impianto, può accadere che la perdita ossea e il successivo collasso dei tessuti molli avvengano durante la fase di guarigione, manifestando gli esiti proprio al momento della seconda fase chirurgica.8,9
In situazioni del genere e in tutte quelle altre in cui si decida già al momento del posizionamento implantare di utilizzare solo l’osso residuo senza ricorrere a tecniche rigenerative, la seconda fase chirurgica rappresenta un importante momento in cui un’adeguata gestione dei tessuti molli può mascherare il deficit osseo sottostante. In questo lavoro gli autori propongono una nuova tecnica rigenerativa di tessuti molli contestualmente all’utilizzo di una tecnica implantologica post-estrattiva.

Materiali, metodi, tecnica
Lo scopo della nostra tecnica è quello di sfruttare il potenziale rigenerativo del nostro organismo, avvalendoci delle regole dell’ingegneria tissutale. Infatti, verrà impiegato un materiale, che permette:
1. alle cellule progenitrici della gengiva di proliferare e differenziarsi per ricostruire il tessuto molle necessario;
2. all’operatore di non dover effettuare rilasci periostali per ottenere un lembo privo di tensione per ottenere una chiusura per prima intenzione. Noi otterremo un tessuto rigenerato con una chiusura per seconda intenzione.
Tecnica
1. Estrazione atraumatica dell’elemento dentario con visualizzazione dell’alveolo post-estrattivo (schema 1). Infatti, è stato dimostrato come il sollevamento di un lembo muco-periosteo, con l’interruzione del flusso vascolare che comporta, potrebbe essere causa di un rimodellamento osseo più pronunciato, se paragonato a un’estrazione effettuata senza lembi.
2. Scollamento del lembo attorno all’alveolo senza lacerare le papille. Se è presente un minus osseo vestibolare, lo scollamento deve arrivare più apicalmente della lesione ossea (schema 2).
3. Se necessario riempimento con biomateriale; in questa fase sarà inserito un impianto post-estrattivo (schema 3).
4. Si inserisce una prima forma di matrice tridimensionale collagenica, e successivamente questa viene chiusa con una seconda premodellata che va a inserirsi tra l’alveolo e la gengiva buccalmente e lingualmente o palatalmente (schema 4).
5. Situazione a intervento terminato. La seconda matrice rimane esposta in cavità orale (schema 5).
6. Sutura a fionda (schema 6).

Materiali
Il biomateriale che verrà utilizzato per la tecnica che vedremo esposta nel successivo paragrafo è una matrice in collagene (Bioteck®). Parliamo di collagene di tipo I derivante da tendine d’achille equino; può essere considerata una membrana grezza, non ancora sottoposta a pressione. Come innesto granulare è stata scelta una miscela di osso spongioso e corticale (OX Bioteck®) di granulometria 0,5 – 1 mm.
L’impianto utilizzato è un Way Milano 5,5 mm per 10 mm di altezza con superficie Syntegra (Geass srl).

Caso clinico
La paziente M.M., di anni 36, si presenta alla nostra attenzione per una mobilità di grado 2 e dolorabilità alla percussione dell’elemento 4.6 (Fig. 1).
Si nota al sondaggio un minus osseo vestibolare a carico della radice mesiale. Dall’immagine ortopantomografica si nota una lesione radiotrasparente a carico della radice mesiale dell’elemento in esame, e un’infiltrazione cariosa sempre mesialmente al di sotto del restauro protesico. La paziente è stata valutata dal punto di vista protesico e implantare, al fine di conseguire la migliore integrazione estetica e funzionale della riabilitazione. Dopo aver valutato diverse alternative terapeutiche, si è ritenuto che il trattamento implantare fosse quello di elezione. La paziente, indagata dal punto di vista medico generale, non presentava controindicazioni al trattamento implantare.
Si decide di estrarre l’elemento, di posizionare contestualmente un impianto e di rigenerare i tessuti con la nuova tecnica utilizzando la matrice in collagene e il biomateriale in granuli di derivazione equina come osteoconduttore.

Tecnica chirurgica
Eseguita l’estrazione atraumatica separando le radici, si riscontra l’effetivo minus osseo e si procede allo scollamento intorno ai margini dell’alveolo senza traumatizzare e lacerare le papille (Figg. 2a, b, c). Successivamente si posiziona l’impianto in modo protesicamente guidato (Way Milano 5,5 mm per 10 mm di altezza con superficie Syntegra – Geass srl), e si colma l’alveolo con un biomateriale eterologo (OX Bioteck®). La matrice di collagene viene modellata con due alette. La prima ovale che fungerà da tappo, la seconda avrà un corpo ovale e due alette che si infileranno tra il periostio scollato e l’osso.
L’ala vestibolare andrà anche a chiudere il difetto, a livello della radice mesiale, valutato al sondaggio (Figg. 3a, b, 4). La matrice viene stabilizzata con una sutura (Fig. 5). La guarigione a sette giorni (Figg. 6a, b), sembra mostrare una recessione dei tessuti molli, invece se si osserva attentamente si può notare un fronte di tessuto molle sta invadendo, arrampicandosi, la porzione superiore della matrice. Questo fenomeno è ancora più evidente a 15 giorni (Figg. 7a, b). Senza intervenire più a 3 mesi, otteniamo un’ottima qualità e quantità di tessuto molle intorno al nostro impianto (Figg. 8a, b).

Protesizzazione
Trascorso un periodo di guarigione di circa 3 mesi, si procede al posizionamento di una vite di guarigione (diametro 5,5 mm altezza 4 mm). Dopo 15 giorni si procede a rilevare un’impronta di precisione mediante porta-impronta individuale e trasferitore adeguato (Figg. 9a, b, c). Si realizza così un moncone dritto in titanio, con spalla di altezza 1 mm (Figg. 10a, b, c) e contestualmente un manufatto protesico in zirconio-ceramica (Figg. 11a, b).

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Discussione
Considerazioni sul materiale utilizzato
Innanzitutto, bisogna tenere presente che il cavallo è il più sicuro tra gli animali per la produzione di biomateriali. Infatti, non sono note malattie da prioni equine trasmissibili all’uomo, questo animale viene allevato in recinto e questo gli consente di mantenere un corretto trofismo osseo.
I sostituti ossei di origine equina hanno quindi ottime caratteristiche meccaniche. Infine, essi sono trattati con un esclusivo processo di deantigenazione per via enzimatica effettuato a 37 °C, che rimuove tutte le componenti immunogeniche senza alterare le proprietà biologiche e biomeccaniche dell’osso. Questi sostituti ossei sono la matrice biologica pura dell’osso. La presenza di collagene nativo, inoltre, li rende un perfetto scaffold per la rigenerazione.
Questa matrice, inoltre, possiede le caratteristiche basilari che le membrane devono possedere sono state schematizzate da Hardwick e collaboratori nel 199410 e comprendono:
– biocompatibilità; devono essere costituite da materiali che non inneschino, reazioni di tipo citotossico e/o immunogenico;
– occlusività; impedendo passaggio di tessuto connettivo ed eventuali contaminazioni batteriche al di sotto di essa, permettendo al contempo lo scambio di nutrienti mediante apporto ematico;
– integrazione nei tessuti ospiti;
– mantenimento dello spazio sottostante; consentendo la stabilizzazione del 
coagulo e la conseguente rigenerazione tissutale;
– maneggevolezza; per poter essere facilmente adattate alle diverse condizioni 
anatomiche riscontrate dal chirurgo.
Per quanto riguarda l’osso granulare cortico/spongioso, anch’esso di derivazione equina, ha un tempo di riassorbimento variabile tra i 4 e i 6 mesi in base alle percentuali di miscela spongiosa/corticale.
Considerazioni cliniche
Noi sappiamo che la rigenerazione può essere definita come la possibilità di ricostituzione dei tessuti lesi con cellule dello stesso tipo di quelle danneggiate. Le rigenerazioni dei tessuti che noi conosciamo sono la Guided Bone Regeneration (GBR) e la Guided Tissue Regeneration (GTR). Esse possono essere considerate i precursori dell’ingegneria tissutale.11 Le considerazioni da fare su queste tecniche partono dal concetto che esse non si occupano principalmente del tessuto molle, in un caso l’obiettivo è la rigenerazione ossea (GBR), tanto è che poi il nostro paziente necessita di un secondo intervento di gestione dei tessuti molli; e in GTR la rigenerazione dell’intero comparto parodontale (cemento radicolare, legamento parodontale, osso e connettivo). Inoltre, dobbiamo tenere presente che la matrice, che sia essa riassorbibile o non, deve assolutamente mantenersi coperta dalla gengiva, previo rischio di insuccesso della terapia.12
U'n’altra possibilità di trattamento rigenerativo dei tessuti molli risiede nell’ingegneria tissutale. Infatti, tramite questa metodologia che sfrutta le cellule staminali, possiamo rigenerare i diversi tessuti. Sicuramente questa è una delle frontiere più promettenti della ricerca biomedica. Va però sottolineato come in un lavoro recentissimo di Xiong si evidenzia che nessuna procedura rigenerativa a livello parodontale con MSC offra risultati clinici prevedibili.13 Inoltre, pensare di sottoporre il nostro paziente a un prelievo, qualsiasi sia la sede, per ottenere le cellule a noi necessarie per la rigenerazione, francamente sembra un po’ troppo invasivo. Infine, se decidessimo di adottare questo tipo di tecnica, i tempi di intervento si allungherebbero notevolmente, in quanto bisogna considerare il tempo tecnico che serve alla cell-factory per isolare, espandere e differenziare le cellule prelevate.14 Lo scopo perseguito dagli autori, ovvero ottenere una rigenerazione dei tessuti molli perimplantari senza utilizzo di una seconda chirurgia, trova radici sul concetto che il processo di rigenerazione esiste già in fisiologia. Infatti, durante tutta la vita adulta dell’organismo si assiste a un continuo bisogno di produrre nuove cellule per rimpiazzare quelle perse durante il differenziamento, l’invecchiamento cellulare o il danno tissutale. A garantire l’omeostasi dei tessuti ci pensano le staminali: cellule capaci di autorinnovarsi ma anche in grado di generare i progenitori che, differenziandosi, danno origine a tessuti e organi. Inoltre, le MSC sono anche le protagoniste della risposta alle lesioni. Tra le lesioni più comuni e meglio studiate, le ferite dell’epidermide sono in cima alla lista. La pelle è infatti un sistema dalle elevate capacità rigenerative, caratteristica che la rende il tessuto ideale per studiare la rigenerazione e il ruolo delle cellule staminali.

Conclusioni
L’impianto di collagene eterologo, impiegato come matrice a riempimento di difetti a carico di tessuti molli o di tessuti osteocartilaginei, può essere utilizzato per favorire la rigenerazione dei tessuti mancanti. Questo materiale può essere impiegato nella ricostruzione di lesioni recanti perdita di sostanza favorendo il processo di guarigione tessutale. La matrice costituisce una trama per la neovascolarizzazione e la formazione di nuovo tessuto, è molto bene tollerato dall’organismo ospite e viene successivamente sostituito dalla crescita di tessuto di riparazione o cicatriziale. Inoltre, il collagene può essere impiegato nelle perdite di sostanza a carico del tessuto osseo in sostituzione di un trapianto di osso spongioso, qualora quest’ultimo non fosse disponibile. In tutti i casi in cui il collagene è stato impiegato per favorire i processi di riparazione tissutale, anche se la valutazione è stata solo soggettiva, i tempi di guarigione sono parsi più rapidi di quelli attesi in situazioni analoghe.
Questo materiale, viste le notevoli proprietà istoriparative, svolge un ruolo fondamentale in ogni processo riparativo e offre al chirurgo, non solo orale, un ausilio particolarmente utile nella pratica clinica quotidiana. Questa tecnica vuole permettere al clinico, in modo semplice e poco invasivo per il paziente, la creazione di nuova gengiva intorno al nostro impianto. Alla domanda: “perché pensare di rigenerare i tessuti molli e non di gestirli?”, si può rispondere che principalmente la tecnica di rigenerazione del tessuto molle ha, come visto dal caso clinico, il vantaggio di non dover intervenire con un secondo intervento chirurgico. Questo perché, il tessuto che ci necessiterà in quantità e in qualità si sarà già formato al tempo di maturazione dell’impianto o del sito chirurgico in esame. Inoltre, a questa tecnica se ne possono sommare altre, come, ad esempio, una rigenerazione ossea. Tutto questo ridurrà i tempi di gestione e, di conseguenza, di disagio per il nostro paziente. Teniamo anche presente, come diceva il professor Branemark, che meno passaggi noi effettuiamo minore sarà il rischio di errore al quale potremmo andare in contro.

 

L'articolo è stato pubblicato sul numero 4 di Implant Tribune Italy 2013.

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