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Covid 19: Una crisi anomala

Roberto Rosso (© Roberto Rosso).

mer. 13 maggio 2020

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Le crisi precedenti, e in particolare quella del 2008-2013, si sono sempre generate per un collasso del sistema economico o finanziario a livello macroeconomico, avendo un impatto sia sulle imprese (ad esempio con la stretta creditizia) sia a livello sociale soprattutto con l’aumento della disoccupazione. Infine, chiaramente, tutto questo ha avuto un impatto sull’economia reale, ovvero sull’economia delle famiglie, producendo un forte calo della domanda.

In questo caso non è così, il sistema economico e finanziario è (ma ormai meglio dire “era”) solido, con un paese in piena ripresa e i fondamentali positivi. Quella che si è presentata d’improvviso, a causa della necessità di distanziamento sociale, è stata una crisi delle interconnessioni, ovvero l’impossibilità di approvvigionarci e di vendere prodotti e servizi. Premesso che il paese produce circa 100 miliardi all’anno di PIL, è chiaro che fermando circa il 60% dell’attività produttiva lo shock economico sarà enorme, ma l’origine è di tipo esogeno al sistema, una sorta di enorme congiuntura abbattutasi sul mondo.

Proprio per questo motivo, all’inizio molti economisti pensavano che al cessare della causa esterna, ovvero all’uscita del lockdown, l’economia si sarebbe ripresa abbastanza rapidamente, con una crisi che gli esperti indicano a “V”, ovvero di iniziale crollo rapido ma con un successivo rapido recupero, e un impatto che sarebbe stato limitato diretta conseguenza del tempo di lockdown. Ma si trattava di una valutazione affrettata e, probabilmente, superficiale, perché non si è tenuto conto che la gestione della fase endemica avrebbe comunque necessitato di un lunghissimo periodo di distanziamento sociale, con evidenti conseguenze sull’economia delle famiglie e sui consumi. In aggiunta alle problematiche economiche e finanziarie che si abbatteranno sul sistema produttivo, in particolare sulla piccola e media impresa, cambiano radicalmente le modalità di socializzazione: da un lato abbiamo la necessità di mantenere una certa distanza sociale e, dall’altro, si modificheranno atteggiamenti, comportamenti, pregiudizi, con un possibile aumento della conflittualità sociale.

Premesso che proprio la nuova modalità di vivere il contesto sociale ridurrà parte dei consumi per incapacità e saturazione produttiva (faccio l’esempio di un ristorante che dovrà ridurre sensibilmente i coperti, le file ai supermercati che favoriranno acquisti su canali web, l’aumento dello Smart Working con conseguente riduzione di molti consumi connessi alla socializzazione pubblica, etc.), ciò che ci interessa in questo contesto è la possibile trasformazione della percezione degli studi dentistici e delle cure odontoiatriche da parte della popolazione. Ci saranno delle indicazioni chiare e perentorie da parte degli istituti competenti, che forniranno delle rigorose linee guida per gli studi dentistici. Rispettare questi principi, che prevedono determinati protocolli clinici, di gestione dei pazienti e l’uso di dispositivi di protezione individuale, credo possa essere molto impegnativo in termini organizzativi ed economici, ma penso che tutte gli studi li adotteranno per garantire la salute propria, dei collaboratori e dei pazienti.

In tutta onestà, dobbiamo ricordare che i dentisti da sempre lavorano in condizioni di asepsi quasi totale. È vero che in questo caso parliamo di patogeni che si trasferiscono per via aerea, mentre gli studi dentistici si sono molto evoluti per evitare le infezioni crociate per via sanguigna, ma le misure di protezione degli operatori dentali sono già molto elevate. La cultura della protezione e dell’asepsi è già innata nella professionalità del personale odontoiatrico e credo che sarà abbastanza naturale utilizzare procedure più rigorose.

Per quanto riguarda i pazienti, premesso che la relazione con il dentista si basa su un rapporto fiduciario, credo sia molto importante spiegare con dati oggettivi le procedure e i dispositivi adottati, confermando con il comportamento la forte attenzione alla sicurezza di tutti. Le nostre ricerche qualitative mostrano che una spesa odontoiatrica, quando supera la soglia di circa 1.000 euro, non è più una scelta individuale del paziente ma entra nel paniere delle diverse spese della famiglia. La spesa viene quindi valutata, e gerarchizzata, in funzione anche di altre necessità familiari, non sempre legate alla salute.

Chiaramente le prestazioni non urgenti e di alto valore economico, come l’ortodonzia e la protesi, potrebbero essere più facilmente rimandate ma, sempre secondo i dentisti intervistati in aprile, saranno soprattutto i trattamenti con finalità estetiche ad essere penalizzati, mentre quelli che risolvono problemi funzionali potrebbero subire meno questa situazione. Premesso che tutto questo dovrà essere dimostrato, è indubbio che in una logica “maslowiana”, in un’ipotetica scala che va dal “dolore” al “piacere” (per socializzare, piacere agli altri e a sé stessi) in caso di minori possibilità economiche o di resistenze psicologiche saranno le terapie tese all’estetica quelle che potrebbero inizialmente ridursi, perché meno impellenti (Fig. 1).

Ciò che dovrebbe fare lo studio è “imparare a vendere”, tutto questo non ha nulla di non etico, bisogna mettere da parte falsi pregiudizi legati alla semantica, che possono generare reazioni negative. Per “imparare a vendere” si intende migliorare la propria capacità di comprensione del sistema dei bisogni del paziente e maggior efficacia nel trasferire valore nella proposta di trattamento, affinché il paziente comprenda l’importanza del trattamento e l’equità rispetto al prezzo che dovrà pagare. Troppe volte, in fase di gerarchizzazione delle spese familiari, le famiglie rimandano un trattamento dentistico per dare priorità ad altre spese non legate alla salute. Anche il credito al consumo, effettuato con il supporto degli istituti di credito, è una buona opportunità per favorire l’accesso alle cure dei pazienti.

Il paradigma della riapertura: resistere, rilanciare e riprogettare
È fondamentale accettare il fatto che non ritroveremo più l’odontoiatria che abbiamo lasciato a marzo: il sistema organizzativo sarà diverso, i pazienti saranno diversi e certi costi aumenteranno. Se non si passa attraverso l’accettazione di questo cambiamento sarà difficile questo vero e proprio “reset” dell’attività odontoiatrica.

Lo studio dentistico possiede tre importanti capitali: il proprio know-how clinico, la propria organizzazione (intesa come struttura, tecnologie, insieme di persone, processi e “clima”) e il proprio bacino di pazienti (idealmente tutte le persone curate negli ultimi 3-5 anni rappresentano il mondo di riferimento di uno studio “tradizionale”). Diverso è per l’odontoiatria corporativa, più orientata alla comunicazione di marketing e alla generazione di nuovi pazienti. Oggi quasi più del 75% del fatturato di uno studio dentistico, aperto da almeno 5 anni, è generato da pazienti “conosciuti” cioè curati in passato o appartenenti alle famiglie di pazienti, quindi, occorre mantenere e fidelizzare questo grande tesoro rappresentato dai pazienti curati in passato.

In questa logica, tre sono le fasi da affrontare e la prima, di pura sopravvivenza, è la resistenza (Fig. 2).

Resistere
Il vero problema di questa prima fase della crisi è la mancanza di liquidità, che si origina dai mancati ricavi di questi ultimi due mesi e dall’impatto dei costi fissi in questo periodo. Proviamo a razionalizzare la situazione, in Italia si “producono” circa 800 milioni al mese di prestazioni odontoiatriche, nei due mesi di lockdown almeno 1,2 miliardi di prestazioni sono state sospese, non cancellate, perché abbiamo milioni di pazienti in cura a cui è stato chiesto di non venire in studio e sono cure che dovranno riprendere al più presto e in totale sicurezza. Ci sono poi milioni di pazienti che hanno problemi di salute orale da risolvere e che dovranno andare dal dentista nei prossimi mesi. Al netto di una possibile riduzione del potere di spesa e di maggiore paura del dentista, i servizi dentistici non sono “consumabili”, non sono pasti non consumati in un ristorante o notti non trascorse in un hotel. La popolazione riprenderà ad andare dal dentista, ma potranno cambiare i tempi e i modi.

Avremo modo di riparlare di questo tema ma, tornando a questo periodo, lo studio non ha incassato per due mesi, non ha avuto costi variabili (laboratorio, materiali e collaboratori medici), ma ha dovuto sostenere i costi fissi (semplificando: affitti, utenze, personale e numerose altre voci di spesa); quest’ultimo è il vero problema. Oltre al sostentamento della propria famiglia il dentista titolare ha dovuto coprire i costi fissi.

Premesso che gli ammortizzatori sociali, come il ricorso alla cassa integrazione, possono contribuire a ridurre i costi del personale, suggeriamo di classificare i costi fissi in tre categorie: quelli indispensabili e improcrastinabili nel pagamento, quelli per cui si può ottenere uno spostamento o dilazione di pagamento, e quelli non indispensabili che in questa fase possono essere tagliati. Tra i costi non includo volutamente quegli investimenti indispensabili a migliorare efficacia ed efficienza dello studio, che rivestiranno un ruolo strategico nei prossimi mesi di ripresa.

Per quanto riguarda i ricavi, un’altra operazione importante nella “resistenza” è quella di realizzare una previsione dei lavori che potrebbero entrare, considerando quelli sospesi, quelli per cui è stata fatta una proposta ai pazienti e sono pendenti di una risposta e in funzione delle nuove visite previste. Senza dimenticare tutti i pazienti da richiamare per igiene e visite di controllo, i bambini in monitoraggio ortodontico, i pazienti a cui si sono collocati impianti e da protesizzare, etc..

Una previsione che dovrà essere aggiornata ogni mese, ma che ci consente di conoscere in anticipo, al netto di costi variabili e fissi, il probabile fabbisogno finanziario. Un fabbisogno a cui far fronte ricorrendo a finanziamenti bancari e/o con il proprio patrimonio personale. Non finanziare questa fase di crisi vuol dire andare incontro a una possibile chiusura, eventualità dichiarata nel 14% del campione di dentisti intervistati in una recente ricerca Key-Stone, una percentuale che sale proporzionalmente all’aumentare dell’età del dentista.

Oltre alla messa in sicurezza da un punto di vista finanziario, è indispensabile garantire a pazienti e collaboratori la sicurezza sanitaria, ma questo diverrà un obbligo e, quindi, un prerequisito. Ciò che farà la differenza è la capacità del centro di organizzare i flussi e i processi in modo da non avere incidenti di percorso, come quelli del sovraffollamento, ma anche degli eccessivi tempi morti, derivanti da un eccesso di prudenza senza una corretta pianificazione.

Rilanciare
Tornando al tema del grande patrimonio dello studio, rappresentato dai pazienti curati negli ultimi anni, è fondamentale prendersene cura attraverso un sistema organizzato di comunicazione diretta. È molto importante avere una base di pazienti ben gestita, un database che ci consenta di segmentare i pazienti per tipologia, età, trattamenti effettuati, etc.. Così come è indispensabile che la gestione di questa base di dati risponda alle norme del GDPR, cioè ai requisiti del nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati.

In questa fase è importante mantenere relazioni attraverso WhatsApp, e-mail, video, chiamate, reti sociali per chi le utilizza. Ma ciò che è importante sono i contenuti di questa comunicazione, tesi a informare i pazienti, a rassicurarli su tutto quanto si sta facendo per la loro sicurezza, per dare suggerimenti pratici per la salute orale e personale, per un corretto stile di vita. Mentre è assolutamente sconsigliato generare comunicazioni tese a “vendere” servizi o trattamenti, questo non è il momento della vendita è il momento nel quale rafforzare il rapporto di fiducia con i pazienti. Allo stesso modo è inutile produrre informazione tesa a promuovere servizi che, in questa fase emergenziale, potrebbero apparire anacronistici o non adatti alle priorità attuali della popolazione.

Un momento importante è anche quello della riapertura. Quando lo studio sarà pronto a ospitare nuovi pazienti sarebbe bene comunicarlo e, in questo caso, incentivare le visite. A questo proposito, voglio ritornare sulla fase del lockdown. Oltre ai ricavi sospesi in questi due mesi, un aspetto molto serio da considerare è il fatto che in questo periodo non siano arrivati nuovi pazienti e non si siano realizzati nuovi piani di trattamento e nuovi preventivi; questo è un problema che si sentirà nei prossimi mesi, anche in autunno. Per questo motivo gli studi devono assolutamente mantenere uno spazio utile a realizzare nuove visite, nonostante si possano trovare in una situazione di affollamento dovuto ai lavori lasciati in sospeso.

Sempre nella fase di rilancio, una volta aperto lo studio, diventa prioritario, come scrivevo precedentemente, tornare sui preventivi in sospeso per i quali è fondamentale ottenere il più alto tasso possibile di accettazione. Pur considerando una possibile demotivazione da parte di alcuni pazienti, suggerisco di non sollecitare risposte ai preventivi sospesi con una semplice telefonata, ma invitando i pazienti a tornare, per realizzare una nuova visita motivazionale che serva a rinnovare la presa di coscienza del bisogno, la riduzione di eventuali pregiudizi e a favorire l’accettazione del piano di trattamento.

Riprogettare
I nuovi protocolli organizzativi cambieranno in modo profondo il modello organizzativo dello studio, e questo è il momento di raccogliere dati e informazioni, considerare i propri punti di forza e debolezza, valutare opportunità e minacce, chiaramente è anche il momento di considerare quali risorse emotive, organizzative ed economiche sono disponibili e quali potrebbero essere necessarie con lo scopo di strutturare un modello di business virtuoso per l’odontoiatria che verrà. Porsi delle domande sul cambiamento del sistema competitivo, rivalutare il posizionamento e la politica dei prezzi, decidere come dovrà essere il proprio studio in futuro è un passaggio fondamentale, che va pensato con calma, raziocinio e creatività (Fig. 3).

Personalmente, credo che il vero grande problema dei prossimi mesi, o forse anni, non sarà tanto quello della domanda di prestazioni, né del potere economico delle famiglie, ma di capienza oggettiva degli studi dentistici, perché è indubbio che, a parità di orario lavorativo, si potranno ospitare meno pazienti. Riuscendo a passare indenni questa prima fase, bisogna già pensare al 2022. Il 2020 è economicamente perduto, usiamolo per progettare il futuro. Il 2021 sarà ancora un anno difficile perché vivremo con molta probabilità ancora vincolati dal distanziamento sociale e da rigidi protocolli nella gestione dei pazienti, anche la crisi economica e sociale potrà avere una coda lunga. Ma ci si presenta la grande opportunità di tornare a fare odontoiatria di eccellenza e di successo in un nuovo contesto competitivo e con la rivincita del rapporto fiduciario; ognuno deve avere la propria visione del futuro e impegnarsi a raggiungerlo con fiducia.

Voglio dare solo un suggerimento: non si prendano decisioni affrettate. Si utilizzino i prossimi mesi, almeno fino all’estate, per raccoglie informazioni, prendendo nota dei problemi, dei disguidi, delle proprie aree di miglioramento, si usi questo periodo come se fosse una “fase beta” dello studio. Prima occorre comprendere, poi ideare e dopo costruire: se cambiamo l’ordine di questi fattori il rischio del fallimento aumenta.

In questi giorni amo ripetere che la parola chiave non è la speranza, ma la fiducia. La prima si riferisce a qualcosa che ci dovrebbe arrivare dall’esterno, mentre la fiducia deriva da quella intima sensazione per cui qualunque cosa accadrà la affronteremo nel miglior modo possibile, perché crediamo in noi stessi e abbiamo utilizzato un metodo rigoroso di elaborazione della strategia.

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