DT News - Italy - Un ruolo certamente delicato ma anche un “potere morbido”

Search Dental Tribune

Un ruolo certamente delicato ma anche un “potere morbido”

Patrizia Cascarano, psicologa

Patrizia Cascarano, psicologa

ven. 4 giugno 2010

salvare

Un ruolo delicato quello delle assistenti alla poltrona: metaforicamente se l’odontoiatra simboleggia il ruolo del padre, il loro è quello della madre, più rassicurante, empatico e protettivo.

Certamente il compito a loro preposto è delicato: da una parte essere di supporto alla parte clinica e dall’altra, di interfaccia tra il dentista e la segreteria, oltre che spesso essere depositaria delle ansie del paziente. Ruolo impegnativo: deve conoscere la parte clinica, entrare in sintonia con l’odontoiatra, conoscere la psicologia del paziente, essere brava nel comunicare. Compito difficile quest’ultimo quando il contesto clinico richiede l’uso della mascherina e di conseguenza la maggior parte della comunicazione non verbale viene svolta dagli occhi e dalla gestualità. Come si porge uno strumento, se viene riposto nella posizione corretta o meno, se agevola l’esecuzione di un compito o di un’operazione oppure la ostacola, assume allora tutta una valenza particolare. Mai nervosa o in crisi! Le conflittualità non dovrebbe fomentarle, ma risolverle.
Quando si è parlato di questo articolo, la prima idea che mi è venuta in mente è stata quella del “potere morbido”, concetto sviluppato da Joseph Nye in ambito delle relazioni internazionali, che sta a indicare quel potere politico di “persuadere, convincere e attrarre altri tramite risorse intangibili quali cultura, valori e istituzioni della politica”. Come mai questo collegamento? L’immagine dell’assistente è quello del filtro, dell’aiuto, un ruolo centrale per la gestione dello studio. Spesso è con lei che l’odontoiatra si consiglia su argomenti che vanno dalla clinica alla gestione delle risorse umane. Il suo braccio destro. E questo potere viene esercitato silenziosamente e senza la forza: la leadership così detta “autoritaria”, che sceglie forme più sensibili e delicate, più femminili nell’accezione di comportamenti che arrivano dalle caratteristiche dell’Anima in senso junghiano. Un potere che non si vede, a volte non si sente quasi, perché esercitato con tono di voce basso. Ma c’è.
Una particolarità delle ASO che ho riscontrato frequentemente nei corsi di comunicazione e psicologia è che non sono consapevoli di questa funzione e delle loro capacità relazionali. Spesso peccano di scarsa autostima, schiacciate tra le richieste dello studio e della famiglia. Tempo per se stesse poco, e quel poco difeso strenuamente, ma assolutamente necessario per non cadere nel loop della sindrome del burn-out, quella condizione che rende insensibili alla realtà esterna e che fa sentire la vita quotidiana estranea a se stessi, quasi non ci appartenesse più. E in questa condizione non è possibile essere d’aiuto a nessuno.
Alcune sono vittime del senso di colpa: non riescono a fare mai tutte le cose nel modo migliore, responsabili anche del clima che si respira nello studio. Si arriva così a cedere e dare la precedenza alle richieste degli altri sacrificando il tempo e lo spazio per sé.

Come fare per non cadere nella spirale dello stress? Intanto prendersi la responsabilità di se stesse: diventa fondamentale tenere bilanciato il senso del dovere e del lavoro con i tempi necessari al recupero, che è a sua volta possibile se viene dedicato spazio alle attività piacevoli per se stesse, che fanno stare bene. Basta anche mezz’ora saltuariamente e migliora la qualità di vita, e con essa anche la qualità delle relazioni.
 

To post a reply please login or register
advertisement
advertisement