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Il trust, strumento di protezione patrimoniale

Paolo Gaeta, Andrea Vicari

Paolo Gaeta, Andrea Vicari

lun. 27 settembre 2010

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Con il trust un soggetto (disponente) vincola un diritto, un patrimonio, un bene a favore di uno o più determinati soggetti (beneficiari) affidandone la gestione ad un amministratore con poteri proprietari (trustee).

Il trust è quel particolare rapporto proprietario che “limita” il diritto di proprietà del trustee per avvantaggiare uno o più beneficiari. Nel 1985 l’Italia ha sottoscritto la Convenzione dell’Aja sui trust e cinque anni dopo, con la Legge n.364/89, lo Stato italiano si è impegnato a dare piena esecuzione alla Convenzione sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento. Da oltre venti anni in Italia sono riconosciuti gli effetti giuridici dei trust. Vi sono circa cento sentenze di Tribunali di ogni ordine e grado (civili e tributari) che hanno giudicato compiutamente e favorevolmente casi di trust italiani. Vi sono decine di circolari dell’Agenzia delle Entrate che dettano il trattamento tributario dei trust in Italia. Non esistono, ad oggi, problematiche tributarie che possano ostacolare l’istituzione di un trust da parte di un soggetto italiano, i quale ha ottenuto un ottimo riscontro professionale nella pratica poiché utile, se non addirittura necessario, in casi non infrequenti. La chiave di comprensione del loro successo in Italia è che offrono soluzioni più efficienti rispetto ad altri istituti giuridici di diritto civile.

I vantaggi del trust nella protezione e gestione del patrimonio
L’esperienza in Italia di questi ultimi venti anni è di una larga diffusione dei trust di famiglia, impiegati per proteggere il patrimonio e gestirne in futuro il problema della successione. Sono sempre più le famiglie che ne valutano favorevolmente l’istituzione. Seppur da un lato il trust imponga di dover creare una serie di regole che disciplinino la gestione di un patrimonio nominandone un amministratore (trustee persona fisica oppure società di capitali) affinché i beneficiari possano goderne in modo più o meno mediato, ottengo in cambio dal trust la protezione del patrimonio reso insensibile da qualsiasi vicenda personale, creditoria e professionale del disponente, il trustee e a particolari condizioni, anche ai beneficiari. Creo cioè un patrimonio protetto.
Vi sono nel diritto civile altri istituti che consentono la protezione di un patrimonio dalle vicende dei soggetti che vi si relazionano (per esempio il fondo patrimoniale), istituti a quali talvolta si ricorre poiché meno “onerosi” in termini di sacrificio di libertà rispetto al trust, ma dichiaratamente meno protettivi e pertanto rischiosi (il fondo patrimoniale ha uso e durata considerevolmente limitata rispetto al trust). Ad esempio, il fondo patrimoniale viene spesso, erroneamente, fatto passare come strumento per la protezione del patrimonio, ma cosi non è. Il fondo patrimoniale, e la protezione dai creditori, termina con il cessare del matrimonio, così che alla morte di uno dei coniugi o nel caso di divorzio, i beni torneranno ad essere aggredibili dai creditori dei coniugi anche se diventati tali dopo l’istituzione del fondo patrimoniale. È sufficiente che qualsiasi creditore “si ponga in attesa sulla riva del fiume” e prima o poi i beni torneranno aggredibili. In caso di morte di uno dei coniugi i successori dovranno accettare l’eredità per poter fare propri i beni oggetto di successione e con tale accettazione assumeranno quindi anche i debiti pregressi. Insomma, il fondo patrimoniale non è strumento adatto per la protezione patrimoniale, ma una semplice “palliativo”, temporaneo.

Cosa poter fare con il trust?
Il trust consente al disponente, che istituisce l’atto di trust e nomina un trustee, l’obiettivo di destinare i beni che egli trasferirà in trust ai soggetti che il disponente stesso individua come beneficiari o per uno scopo (ad esempio per i trust di garanzia). I beni del disponente, una volta trasferiti al trustee, non saranno più aggredibili dai creditori del disponente e non entreranno in successione poiché non rientrano più nel suo patrimonio. Essi passano ai beneficiari del trust, secondo il programma indicato nell’atto istitutivo. È fondamentale per ottenere il livello di protezione desiderato che l’atto di trust ed il trasferimento al trust dei beni che si intende proteggere avvenga prima dell’insorgenza del diritto del creditore.
La tenuta del trust è quindi funzione del momento di istituzione e della legittimità e meritevolezza degli interessi protetti dei beneficiari. Pochi sono i professionisti statunitensi, inglesi, neozelandesi, australiani, e di tante altre giurisdizioni che non istituiscono un trust per riuscire a consolidare il patrimonio guadagnato con anni di lavoro e che non vogliono correre il rischio di dover essere esposti ad attacchi di creditori (persone oppure enti) che in modo grossolano, ma a volte devastante, mettono in gioco l’appartenenza di quel patrimonio al professionista fino alla fine di lunghi giudizi dall’esito incerto e dal costo elevato.

Cosa non posso fare con il trust
Se istituisco un trust simulato (perché, ad esempio, il trustee esegue acriticamente le direttive del disponente come se fosse un mandante, oppure perché non emergono interessi meritevoli di tutela a vantaggio dei beneficiari, od ancora perché si vuole frodare il fisco oppure i creditori), il risultato che ottengo è molto deludente e rischioso.

Il punto di vista del tributarista
Non v’è operazione di trust che non possa essere realizzata per problematiche fiscali, al contrario l’esistenza di uno strumento come questo (soggetto passivo di imposta autonomo) consente di realizzare assetti impositivi vantaggiosi rispetto a quanto possibile dal singolo professionista.

Paolo Gaeta, Dottore Commercialista
Andrea Vicari, Notaio
Consulenti dell’Associazione A.M.A.M.I. (Associazione per i Medici Accusati di Malpractice Ingiustamente)
 

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